venerdì 31 dicembre 2021

50 anni nei fumetti


50 anni nei fumetti
(274 pagine, Youcanprint, € 70) è un libro particolare. Racconta la storia della collaborazione tra me e mio fratello Gianni attraverso una grande mole di fumetti, in gran parte a colori, in modo da coprire tutto l’arco temporale lungo il quale questa collaborazione si è sviluppata. In mezzo ai fumetti ci sono anche ricordi, aneddoti e retroscena che contestualizzano e connettono le varie storie. Abbiamo rovistato nei nostri archivi e, assieme a una scelta delle storie edite nel corso degli anni, abbiamo selezionato anche parecchie storie che erano rimaste inedite. Tra queste storie inedite ce ne sono alcune un po’ particolari, non per il loro valore, ma per la loro qualità di veri e propri “reperti storici” (sempre relativamente alla nostra storia, naturalmente). C’è per esempio uno dei fumetti che compariva nei giornaletti che disegnavamo per i parenti e che quindi esistono in un’unica copia. E c’è anche il fumetto con il quale ci siamo presentati alla redazione del Messaggero dei Ragazzi nel settembre del 1970 e grazie al quale il grande e indimenticato Pinù Intini ci offrì la nostra prima collaborazione professionale (collaborazione che, in verità, più che al fumetto presentato, direi che fu dovuta alla lungimiranza quasi sciamanica di Pinù). Non manca il primo fumetto realizzato (il secondo pubblicato) dal quale parte la datazione dei 50 anni (1971-2021). Ci sono poi alcuni fumetti inediti che avevamo proposto a qualcuna delle riviste che allora esistevano sul mercato ottenendone dei garbati rifiuti (o dei silenzi, un po’ meno garbati). Ma ci sono anche molti dei fumetti che abbiamo pubblicato negli anni ’70 sui pocket Sansoni o altrove (su Sorry, per esempio, o sul Santo dei Miracoli e così via). Poi c’è un’ampia scelta dei fumetti che a partire dai primi anni’90 abbiamo pubblicato sul Messaggero dei Ragazzi, tutti rigorosamente a colori. Il libro riguarda la nostra collaborazione, per cui non c'è nulla riguardo ai (molti) fumetti che abbiamo realizzato separatamente.

Per scopo, caratteristiche e dimensioni, non è un libro che potevamo proporre a un editore (quindi non lo abbiaamo proposto) e perciò, per averlo così come volevamo che fosse, lo abbiamo pubblicato tramite Youcanprint. Il notevole prezzo di vendita risente di questa scelta (del print on demand) e dipende dal costo di stampa: il formato grande (A4) e i colori hanno il loro prezzo, ma così doveva essere e così è stato. È comunque un libro per così dire artigianale, con i suoi difetti, realizzato in totale autonomia, con l’imperizia degli spavaldi autodidatti. Molte storie sono riprese direttamente dagli originali, ma diverse sono tratte dalle pubblicazioni perché non ne abbiamo più gli originali, per cui in taluni casi la qualità non è ottimale.

Di fronte a un libro come questo la domanda sorge quindi spontanea: esiste qualcuno interessato alla nostra storia? La risposta è persino banale: sì, noi. E quindi per fissarla in qualche modo prima che sia troppo tardi, ecco questo libro: un raro esempio di libro immaginario diventato reale. Il suo scopo l'ha realizzato con la sua sola stessa esistenza, non occorre che venga comperato (e mi stupirei se qualcuno lo facesse).

L'illustrazione di copertina, realizzata da Gianni, ci ritrae all'epoca in cui i fumetti li leggevamo e li sognavamo. L'edicola che si vede sullo sfondo è quella in cui principalmente ci approvvigionavamo, in Prato della Valle. Anche l'edicolante è quello del tempo: scorbutico, ma professionale. Le foglie secche che svolazzano sono rigorosamente metaforiche.

lunedì 20 dicembre 2021

La Banda sul Messaggero dei Ragazzi n. 1067


Sul numero 1067 del Messaggero dei Ragazzi (è il numero di dicembre, quello attualmente in distribuzione, c'è una nuova storia della Banda. Come sempre, la sceneggiatura è mia, mentre ai disegni questa voilta è il validissimo Isacco Saccoman.

Non a caso, visto il periodo, l'argomento è natalizio e il titolo Un altro Natale è da intendersi non nl senso di iterazione natalizia, ma in quello della ricerca di un Natale diverso, più aderente alla sua vera natura. La storia segna il provvisorio ritorno di uno dei personaggi originari della Banda, Chen, che come sa chi segue la serie a un certo punto è ritornato in Cina per motivi familiari. Come sempre, nello spirito che anima la serie, si cerca di intrattenere, divertire e nel contempo affrontare tematiche un po' complesse e perché no serie.

sabato 4 dicembre 2021

Where Have All the People Gone


Where Have All the People Gone
è un film televisivo del 1974, è stato uno dei film of the week della ABC. In italiano è stato trasmesso come Dove sono gli altri? e Dove sono andati a finire?. Non è un film catastrofico, potrebbe essere definito un post-atomico se non fosse che l'atomica non c’entra. Direi quindi un post-catastrofico nel quale la catastrofe viene solo, in sostanza, enunciata. Steven Anders (Peter Graves) è in vacanza in montagna con il figlio David (George O’Hanlon jr) e la figlia Debbie (Kathleen Quinlan): la moglie Barbara (Jay W. MacIntosh) li ha salutati per tornare a Los Angeles per lavoro. Con loro c’è un collaboratore/amico, Clancy (Noble Willingham). Mentre i tre Anders sono in una grotta a compiere rilevazioni, Clancy è fuori e vede un bagliore che crede essere quello dell'esplosione di una bomba. Ne segue un breve terremoto che fa uscire i tre dalla grotta. Tutto sembra finire lì, ma le comunicazioni radio sono interrotte e dopo poco Clancy comincia a sentirsi male. Portato verso valle in una barella improvvisata, Clancy muore nel tragitto e, di fronte allo sconcerto dei tre, letteralmente si polverizza. Quando arrivano nella più vicina cittadina, i tre si avvedono che è abbandonata: molti i cadaveri polverizzati. Che cosa sta succedendo? Pensano si tratti di radiazioni, ma l'effetto sembra un po' strano. Decidono di andare a Los Angeles per vedere come sta Barbara, ma il viaggio si rivela difficile. Trovano chi li deruba e trovano anche nuovi compagni di viaggio: Jenny (Verna Bloom), una donna che ha perso il marito e i figli, e Michael (Michael-James Wixted), un bambino che ha perso i genitori. I sopravvissuti capiscono che la causa di tutto sono delle esplosioni solari, ma ciò non li aiuta molto.

La storia è abbastanza semplice e lineare: ai sopravvissuti capitano cose abbastanza prevedibili, compreso il tizio che frega loro il pick-up, ma le immagini desolate delle città abbandonate - compresa una Los Angeles deserta che richiama 1975: occhi bianchi sul pianeta Terra - sono piuttosto efficaci e il clima è cupo e pessimista, nonostante un finalino ottimista che sembra davvero attaccato con lo scotch. I personaggi sono descritti con credibilità e realismo, compresa la strisciante conflittualità tra i membri della famiglia Anders. La variante dei cani impazziti aggiunge un piccolo tocco horror che preannuncia un po’ Future Animals. In sostanza, niente di eccezionale, ma chi ama il genere “fine di mondo” potrà apprezzare. La sceneggiatura è di Lewis John Carlino, regista de I giorni impuri dello straniero. La regia è del capace John Llewellyn Moxey, la cui carriera si è svolta soprattutto in ambito televisivo, ma di cui si può ricordare, in ambito cinematografico, almeno il riuscito La città dei morti. Il cast è interessante. A parte il televisivo (e solido) Peter Graves, ci sono Verna Bloom (Il ritorno di Harry Collings) e Kathleen Quinlan (American Graffiti).

domenica 28 novembre 2021

I Am Legend - screenplay


Questo libro - I Am Legend - screenplay a cura di Mark Dawidziak (Gauntlet Press, 2012) contiene la sceneggiatura di uno dei film che più mi dispiace non siano stati fatti: Night Creatures, il film che Richard Matheson aveva scritto per la Hammer nel 1957, tratto dal suo famoso romanzo I Am Legend (Io sono leggenda o, come venne intitolato per molti anni I vampiri). Come si sa, il film non venne realizzato per motivi di censura ed è un vero peccato, anche perché in sostanza non è mai stata realizzata una fedele versione cinematografica del romanzo. Di questo libro, che oltre alla sceneggiatura contiene molte altre cose interessanti, tra cui l'introduzione, scritta proprio da Richard Matheson, nella quale l'autore racconta brevemente la sua esperienza (quando ha scritto questa sceneggiatura, ne aveva scritta solo una in precedenza: poi sarebbe diventato uno sceneggiatore esperto e apprezzato) e parla anche dei tre film tratti, in qualche modo, dal suo romanzo. Le sue opinioni al riguardo sono piuttosto nette e molto interessanti. Tra le altre cose, riteneva che Vincent Price, grandissimo attore, fosse inadatto al ruolo di Robert Neville, protagonista della vicenda, che curiosamente nel film interpretato da Price (L’ultimo uomo della Terra) si chiama Robert Morgan, mentre pensava che Charlton Heston fosse un Neville del tutto accettabile, ma che il film (1975: occhi bianchi sul pianeta Terra) fosse andato troppo per la tangente allontanandosi dal libro. È anche riprodotta una lettera della MPAA (l’organo di censura americano) nella quale vengono fatti alcuni rilievi sulla sceneggiatura, ma si dà soprattutto atto del fatto che il tono generale del film è tale che sarebbe stato difficile che il prodotto finale avrebbe poi potuto avere il visto di censura.

Il pezzo forte del libro è però la sceneggiatura in sé. Matheson si conferma grande narratore e grande sceneggiatura. Non è difficile visualizzare le scene e si resta avvinti dalla potenza della storia e della suspense che riesce a creare. Difficile invece immaginare l’impatto che un horror così realistico e cupo avrebbe avuto sul pubblico dell’epoca. Non dimentichiamo che la Hammer intendeva realizzarlo poco dopo La maschera di Frankenstein e quindi prima di Dracula il vampiro, interrompendo così la sequenza di horror gotici per fornire una versione del tutto moderna e, per stare alle intenzioni di Matheson, fantascientifica del mito del vampiro. Ci sarebbe da chiedersi anche chi avrebbe interpretato il ruolo del protagonista. Non è forse difficile immaginare un attore duttile e dinamico come Peter Cushing, attore hammeriano per eccellenza, ma magari la scelta sarebbe andata su attori di stampo diverso, magari come Stanley Baker, più legati alla quotidianità moderna. Chissà. Sta di fatto che il film non si è fatto e che questa sceneggiatura ne resta l’unica traccia.

venerdì 26 novembre 2021

Resident Evil - Welcome to Raccoon City


Da ieri è in sala Resident Evil - Welcome to Raccoon City. Si tratta di un nuovo capitolo, un re-boot in effetti, della famosa saga videoludica di origine. A dirigerla è stato chiamato Johannes Roberts (47 metri) e la protagonista principale non è più Milla Jovovich, ma Kaya Scodelario.

Chi è interessato a sapere cosa ne penso può andare su MYmovies e leggere la mia recensione.

giovedì 25 novembre 2021

Per horror intendo...


Per horror intendo...
è un nuovo documentario, attualmente in sala, dedicato al cinema horror italiano. Lo ha diretto Paola Settimini e contiene interviste a figure importanti appartenenti al genere, da Pupi Avati a Dario Argento passando per molti altri.

Chi è interessato può leggere su MYmovies la recensione che ho scritto per loro.

giovedì 18 novembre 2021

La Banda sul Messaggero dei Ragazzi n. 1066


Sul nuovo numero del Messaggero dei Ragazzi (il n. 1066, attualmente in distribuzione) compare non Turiddu, ma una nuova avventura della Banda, la serie a fumeti che scrivo ormai da qualche anno con immutato piacere.

Questo nuovo episodio si intitola Ah, suor Giuseppina! e come si capisce sin dal titolo è dedicato al personaggio della suora tuttofare che tanto importante è per i ragazzi della Banda. In questo episodio, suor Giuseppina non c'è, perché materialmente è in Africa, in missione, ma proprio dalla sua asssenza i ragazzi della Banda colgono lo spunto per meditare su quanto significhi per loro la sua presenza.

Quindi è un episodio un po' particolare, dedicato alla definizione psicologica di un personaggio, di più personaggi in fondo, cercando sempre di cogliere l'occasione per un po' di buonumore. I disegni sono della sempre brava Giorgia Catelan.

giovedì 4 novembre 2021

I mercoledì di Pippo 6


È arrivato in edicola anche il sesto e conclusivo volume dedicato ai Mercoledì di Pippo, la serie che ho creato molti anni fa e che ho scritto per più di dieci anni. Questo sesto volume è composto da 214 pagine più le copertine, come sempre nel grande formato caratteristico della collana. Ci sono sette Mercoledì disegnati da cinque disegnatori diversi: Roberto Vian e Lino Gorlero (colui che mi spinse a creare i Mercoledì) ne hanno infatti due a testa.

Sono gli ultimi Mercoledì che ho scritto. La formula quindi era ben collaudata, ma, a mio parere, non consunta e ben si presterebbe anche a essere riutilizzata (ma io, va da sé, sono un po’ di parte, consideratemi il primo fan dei Mercoledì).

Asteroidi contro la Terra, disegnato alla grande da un maestro assoluto come Massimo De Vita, è il trentesimo Mercoledì in ordine di scrittura: l’ho scritto nel maggio del 1999 ed è stato pubblicato per la prima volta nel marzo 2000 (Topolino 2312). È uno degli episodi che mi piace di più, per la sua vivacità che, credo, riflette abbastanza la personalità creativa di Pippo e la sua passione per gli alieni e la fantascienza più bislacca.

Il vichingo che scoprì l’America, disegnato molto bene da Lorenzo Pastrovicchio, è il terzultimo Mercoledì in ordine di scrittura: l’ho scritto nel dicembre del 1999 ed è stato pubblicato per la prima volta nel novembre 2000 (Topolino 2347). In questo caso l’ambientazione è un po’ diversa dal solito - simile a quella che utilizzerò di lì a poco per la serie di Topan il barbaro - e il tentativo è stato quello di affrontare la Storia con la maiuscola in versione pippesca, con tutto quello che ne può conseguire.

Nell’orecchio del ciclone, disegnato da un ottimo artista come Roberto Vian, è il ventiseiesimo Mercoledì in ordine di scrittura: l’ho scritto nel novembre del 1998 ed è stato pubblicato per la prima volta nel giugno del 2001 (Topolino 2377). È un episodio che testimonia la mia passione per i film catastrofici, che si evidenzierà in modo ancora maggiore nell’episodio Ali in fiamme, contenuto anch’esso in questo volume.

Nel mondo delle fiabe è il ventinovesimo Mercoledì in ordine di scrittura: l’ho scritto nel febbraio del 1999 ed è stato pubblicato per la prima volta nel gennaio del 2002 (Topolino 2409). Ai disegni torna Lino Gorlero, il primo disegnatore della serie, che ha sempre saputo gestire graficamente in modo impeccabile e con grande espressività le storie che gli sono state affidate. È uno degli episodi più strampalati della serie, bisogna ammetterlo. L’ambientazione fiabesca si prestava bene a un moltiplicarsi di cose bizzarre e ne ho approfittato cercando di trovare qualcosa di diverso.

Il conte dei sospiri è il penultimo Mercoledì in ordine di scrittura: l’ho scritto nel novembre del 2001 ed è stato pubblicato nel settembre del 2002 (Topolino 2443). Ai disegni torna l’ottimo Roberto Vian. L’ambientazione rétro e il gusto melodrammatico e da feuilleton della vicenda dovrebbero darle un tono particolare e originale all’interno della serie. Forse è un episodio troppo segnato dai giochi di parole, ma contiene una delle battute che più mi piacciono (quella della seconda vignetta di pag. 152, se vi interessa saperlo).

Nelle segrete più segrete è l’ultimo Mercoledì in ordine di scrittura: l’ho scritto infatti nel settembre del 2002 ed è stato pubblicato per la prima volta nel luglio del 2003. Gli ottimi disegni sono di Marco Mazzarello. In questo caso, la parodia è quella del classico genere carcerario. Nel ricordo, mi pareva un episodio meno riuscito, ma rileggendolo per l’occasione devo dire che invece mi è sembrato migliore di come me lo ricordavo. Che sia diventato nostalgico?

Ali in fiamme, di nuovo disegnato dal bravissimo Lino Golero, è il ventiquattresimo Mercoledì in ordine di scrittura (sempre senza tenere conto nella numerazione del prototipo Pippo e il giallo a premi): l’ho scritto nel maggio del 1998, ma è stato pubblicato per la prima volta nel luglio del 2006 (Topolino 2641), parecchio tempo dopo. Ciò lo ha fatto considerare l’ultimo Mercoledì, ma, invece, dopo questo episodio ne ho scritti altri nove. È l’episodio in cui più si realizza la parodia del cinema catastrofico, in particolare di quel sottofilone che riguarda i viaggi in aereo. Ed è anche uno degli episodi che preferisco per la varietà delle trovate e il ritmo narrativo.

Con questo volume si chiude la ripubblicazione organica di tutti i Mercoledì sin qui realizzati. È bello averli tutti insieme, non c’è che dire: messi in fila questi volumi fanno la loro figura.

venerdì 29 ottobre 2021

Antlers - Spirito insaziabile


Ieri è uscito al cinema Antlers - Spirito insaziabile, un nuovo horror diretto da Scott Cooper, regista noto per aver diretto il film con cui il grande Jeff Bridges si è guadagnato l'Oscar (Crazy Heart). Chi è interessato, può leggere qui la recensione che ho scritto per MYmovies.

venerdì 15 ottobre 2021

Nati morti


Nati mort
i è il nuovo film di Alex Visani, un autore che ormai da decenni percorre una sua particolare strada nell’ambito dell’horror indipendente.

Luna (Ingrid Monacelli) abita da sola in un grande casale in campagna e si dedica con passione alla tassidermia. Un giorno mentre si aggira nel bosco alla ricerca di animali morti da impagliare si imbatte nel cadavere di una donna appena uccisa da uno spietato assassino, che scopriremo chiamarsi Tony (Lorenzo Lepori). L’uomo giace vicino alla sua vittima, gravemente ferito dalla stessa nell’ultimo sussulto prima d’essere sopraffatta. Luna porta entrambi nella sua casa. Tony si risveglia legato a una sedia e se la prende con Luna, che gli fa presente d'averlo curato e si aspetterebbe un po’ di riconoscenza. Luna non si fida molto di Tony, che mostra un temperamento selvaggio e crudele. Oltre che pieno di risorse. Infatti, Tony riesce a liberarsi, ma Luna non è da meno di lui e riesce a legarlo al cadavere della sua vittima, che giace sul tavolo da lavoro della tassidermista. Luna è chiaramente affascinata dalla morte e dalle trasformazioni che essa induce: “Niente muore. Tutto genera vita”. Ha dei piani che coinvolgerebbero Tony, ma ha anche dei problemi con Clizia (Corinna Coroneo), la seconda moglie del suo defunto e amatissimo padre. Clizia e il suo attuale compagno Luca (Edoardo Lazzari) si mettono in viaggio per il casale con l’intenzione di risolvere una questione legata alla vendita della casa, ma non sanno cosa li aspetta.

Un giorno qualcuno - se già non è stato fatto - dovrà scrivere un saggio sulla fascinazione del cinema horror per la tassidermia. L’essere imbalsamato è morte che imita la vita con tutto quel che ne consegue a livello simbolico. Visani pone al centro della storia un personaggio solitario che dedica la propria vita a lavorare su animali morti per riportarli a una vita apparente e raggelata. Il ritratto psicologico di Luna è variegato e approfondito: ispirata dalla figura del padre morto, Luna è una persona con chiari problemi di rapporto con la realtà e i suoi simili. E la sua relazione con il padre, come traspare dalle livorose parole di Clizia, aveva aspetti piuttosto torbidi che hanno generato traumi evidenti. Più tipico e funzionale è il personaggio del killer, di cui non vengono approfonditi retroterra, motivazioni e personalità: la sua funzione è quella di essere il catalizzatore delle pulsioni morbose della protagonista, di diventarne il complemento necessario al suo sviluppo personale. Il rapporto tra i due protagonisti, inizialmente giocato sul filo della diffidenza reciproca, trova un punto di incontro definitivo e cruciale nell’atto del sezionamento del cadavere della prima vittima, un atto nel quale le ossessioni dei due si realizzano entrambe compiutamente, convergendo in modo sinergico.

La storia è raccontata in modo lineare e semplice, con varie sequenze allucinatorie a fornire, nella prima parte soprattutto, il contenuto gore e splatter tipico del genere. Gore e splatter che la fanno da padrone soprattutto nel finale che è un tripudio di effetti sino a una conclusione simbolica e appropriata alla storia. Visani - che scrive anche la sceneggiatura, cura la fotografia, il montaggio e fa l’operatore alla macchina - dirige con buona padronanza e sicuro stile: interessante l’uso del colore che conferisce suggestione all’ambientazione autunnale. Raffinata e suggestiva anche la musica di Daniele Marinelli, che soprattutto nel redde rationem finale fornisce un contrappunto riflessivo e quasi elegiaco alla violenza delle immagini. Lorenzo Lepori e Ingrid Monacelli aderiscono con febbrile partecipazione ai loro personaggi.

giovedì 14 ottobre 2021

Paperino e il carillon proboscidato



Sul Topolino attualmente in edicola (il n. 3438), assieme ad altre ottime storie, c'è anche una mia storia che si intitola Paperino e il carillon proboscidato. Dura 20 pagine ed è disegnata in modo molto efficace ed espressivo dal bravissimo Blasco Pisapia, che già aveva magistralmente disegnato Pippo e la polka del fachiro. Si tratta di una storia che spero possa piacere: ho cercato di lavorare sul ritmo narrativo e sulla caratterizzazione dei personaggi, sia i secondari (la cantante lirica Galina Kefalova e l'astuto Agenore il trovatutto) sia soprattutto il nostro amato duo di paperi (Paperino e Paperoga) di cui ho cercato di assecondare amabilmente le psicologie senza forzarle e talvolta giocando, almeno credo, contro le aspettative. La struttura della storia è, se vogliamo, classica, ma solida e la validità dell'insieme dipende dall'effficacia delle gag e degli sviluppi narrativi: efficacia che spero sussista (ovviamente). Insomma, se vi fa piacere leggetela e spero vi possiate divertire almeno quanto mi sono divertito io a scriverla.

martedì 12 ottobre 2021

Medium


Giovedì esce al cinema un nuovo horror italiano, Medium, diretto da Massimo Paolucci, già autore di Photoshock. Tra gli interpreti i gloriosi Hal Yamanouchi e Tony Sperandeo. Chi vuole può leggere su MYmovies la recensione che ho scritto.

domenica 10 ottobre 2021

Jerry in persona


Ho appena finito di leggere Jerry in persona (Sagoma Editore), scritto da Jeeey Lewis con Herb Gluck e vi consiglio di fare altrettanto. È un ottimo libro, scritto con la schiettezza tipica di un genio anticonformista come Jerry Lewis, già evidente (forse ancora più evidente) nell’ottimo Dean & Me. Molti i momenti significativi e i ricordi vividi, come, per fare solo un esempio, l’incontro con un vecchio Stan Laurel o i racconti tumultuosi degli esordi. Il ritratto che emerge è vivace e variegato, si ha la netta sensazione dell’energia inesauribile che animava Lewis e che si rifletteva in modo dirompente sullo schermo. A un certo punto, quasi improvvisamente, Lewis smise di girare film con continuità e questo libro in parte ce ne spiega le ragioni, così come ci dice quanto gli fu di conforto l’apprezzamento del pubblico e della critica europea, soprattutto francese. Il libro arriva sino agli albori degli anni ’80 e la parabola conclusiva della vita di Jerry Lewis ci viene raccontata in un’interessante appendice di Steve Della Casa, mentre Nunziante Valoroso, che ha ottimamente tradotto il libro, si occupa opportunamente di ricordare Carlo Romano, storico doppiatore di Jerry. Un volume, quindi, fondamentale per chi vuole approfondire il punto di vista di Jerry Lewis, un punto di vista originale, per nulla scontato e che vale senz’altro la pena di conoscere. Per quanto mi riguarda, mi ha messo di nuovo voglia di rivedere qualcuno dei suoi film, magari cominciando da Smorgasbord, l’ultimo.

venerdì 8 ottobre 2021

Blind Willie McTell in Springtime in New York


Springtime in New York, sedicesimo volume della Bootleg Series, è uscito da poco e testimonia per l’ennesima volta la grandezza di ciò che Bob Dylan lasciava da parte a volte con noncuranza. Nei cinque cd della versione completa si trova molto materiale interessante, spesso notevolissimo. Ad esempio un’altra versione di Angelina, magnifica ed enigmatica canzone rimasta fuori da Shot of Love (1981) e già pubblicata, in altra versione, in un precedente volume della Bootleg Series.

Ma soprattutto c’è finalmente l’esordio ufficiale della cosiddetta versione elettrica (o full band, se si preferisce) di Blind Willie McTell, uno degli indiscussi capolavori di Dylan, che però lo lasciò inspiegabilmente fuori da Infidels (1983). Blind Willie McTell era già emerso una ventina d’anni fa nei primi volumi della Bootleg Series, ma per l’occasione era stata scelta una versione acustica, suggestiva, ma non potente quanto l’elettrica. Naturalmente, gli appassionati dylaniani erano a conoscenza della versione elettrica grazie ai benamati bootleg. Io l’avevo sentita per la prima volta in un bootleg del 1984 che avevo comperato chissà dove e conteneva oltre a Blind Willie McTell, anche un altro grande inedito come Foot of Pride (poi coverizzato da Lou Reed nella Bobfest del ’92) e una versione alternativa di Jokerman contenente il verso “stranger at home” che mi rimase particolarmente impresso. Versione alternativa compresa anch’essa in Springtime in New York

Quando sentii Blind Willie McTell mi sembrò subito struggente e meravigliosa: in quel momento non sapevo chi mai fosse questo Blind Willie McTell né che cosa significasse precisamente la canzone, ma la sua progressione trascinante, il sentimento che traspariva dall’interpretazione, la grandiosità dell’arrangiamento e lo stridente e insinuante suono dell’armonica me la resero un cult istantaneo, per usare un modo di dire un po’ abusato. Al punto che nell’ottobre del 1984 nell’anteprima del mio kolossal indipendente (oltre 45’ di durata, nientemeno) presentato a un folto gruppo di invitati lo usai quale ultimo brano introduttivo per creare l’atmosfera giusta per il mio film (Confessions of a Smith Eater). Naturalmente, il film non era all’altezza di tanta atmosfera, ma questa è un’altra storia. La gente apprezzò comunque (c'era il rinfresco).

Blind Willie McTell sarebbe stata poi riscoperta dallo stesso Dylan e interpretata centinaia di volte in concerto, sottoposta a rielaborazioni e riscritture talvolta geniali e spesso interessanti, comparendo anche in Masked and Anonymous, perfettamente in linea con il tono apocalittico e politico del film. Ma questa versione, quella che si può sentire in Springtime in New York (magicamente depurata del colpo di tosse presente nella versione dei vecchi bootleg), resta uno dei vertici dylaniani di sempre. Una canzone che in pochi versi riesce ad affrontare tematiche profonde e complesse, fornendo alcune risposte non facili e svolgendo considerazioni senza tempo e anche senza speranza. E tra l’altro spiegando in modo molto efficace perché nessuno può cantare il blues come Blind Willie McTell.

Qui sopra una foto del vero Blind Willie McTell: vi consiglio di ascoltare anche lui, naturalmente, perché ne vale davvero la pena.

giovedì 30 settembre 2021

47 metri - Great White


Oggi è uscito al cinema 47 metri - Great White, un nuovo horror acquatico a base di squali. Lo dirige l'australiano Martin Wilson ed è ambientato in un'isoletta in un atollo australiano. Chi è interessato può leggere qui, sul sito di MYmovies, la recensione che ho scritto sul film. La protagonista è Katrina Bowden che qualcuno ricorderà come oggetto delle mire dell'infermiera interpretata da Paz de la Huerta in Nurse - L'infermiera.

venerdì 3 settembre 2021

Malignant


Ieri è uscito al cinema il nuovo film di James Wan, protagonista indiscutibile della scena horror odierna. Il film si intitola Malignant e chi vuole può cliccare qui e andare su MYmovies per leggere la recensione che ho scritto su questo film.

giovedì 2 settembre 2021

Pippo e la polka del fachiro


Nel n. 3432 di Topolino, quello attualmente in edicola,  assieme a molte altre storie interessanti, c'è una mia nuova storia che si intitola Pippo e la polka del fachiro. Ottimamente disegnata da Blasco Pisapia, è una storia breve che spero possa risultare gradevole. La vicenda è piuttosto bizzarra e ruota intorno a un vecchio disco in vinile che Pippo ha ritrovato nella sua soffitta. La struttura della storia è un po' particolare perché giocata soprattutto sul fatto che il lettore ne sa più dei personaggi e la curiosità, per il lettore, dovrebbe risultare dall'attesa di scoprire quando i personaggi capiranno ciò che sta realmente accadendo e se sapranno approfittarne. Oltre a Pippo e Topolino c'è anche Orazio, un personaggio che mi piacrebbe utilizzare di più (e penso che cercherò di farlo) perché secondo me ha del potenziale ancora da sfruttare e comunque può costituire una presenza piacevole, con le sue caratteristiche peculiari.

mercoledì 1 settembre 2021

La Banda volume 3


È appena uscito il terzo volume dedicato alle avventure della Banda, la serie a fumetti per la quale scrivo ormai da diversi anni le sceneggiature. Il volume, a colori e di grande formato, è composto da 68 pagine + copertine (Edizioni Messaggero Padova, € 12) e contiene otto storie: Facciamo un film!, Primavera, La partenza, La grande sfida, Tutti in gita, L’ospedale, Una notte all’Inferno e la sin qui inedita Un altro Natale. Ai disegni, distribuiti nei vari episodi, tutti e quattro i disegnatori della serie: Luca Salvagno, Francesco Frosi, Giorgia Catelan e Isacco Saccoman. La copertina, che vedete qui sopra riprodotta, è di Luca Salvagno.

Che dire? È bello vedere tutte insieme queste storie. Mi sono divertito molto a scriverle. E ora mi ha fatto piacere rileggerle e rivedere l’efficacia dei disegni. Ciascuno degli autori ha dato la propria interpretazione dei personaggi, pur in un contesto di rispetto dei singoli caratteri: questo garantisce una varietà di toni e di stili, nella continuità, e dà forza e spessore ai fumetti. Le storie sono semplici, ma ho cercato di dare loro una buona struttura narrativa e mi auguro che possano divertire chi le legge.

venerdì 27 agosto 2021

Candyman


Molti ricorderanno Candyman - Terrore dietro lo specchio di Bernard Rose, di quasi trent'anni fa. Da ieri al cinema c'è un nuovo Candyman diretto da Nia DaCosta e prodotto da Jordan Peele, quello di Scappa - Get Out.

Chi è interessato, può leggere la recensione che ho scrittto per MYmovies su questo nuovo capitolo.

giovedì 5 agosto 2021

La casa in fondo al lago


Oggi esce al cinema La casa in fondo al lago, il nuovo horror di Alexandre Bustillo e Julien Maury. Chi è interessato può leggere qui la recensione che ho scritto per MYmovies.

Qui sopra Camille Rowe, protagonista del film.


lunedì 19 luglio 2021

Bob Dylan - Shadow Kingdom


Si pensava fosse un concerto dal vivo e si dubitava se fosse in diretta o un evento registrato. In effetti, come si poteva supporre, Shadow Kingdom è stato qualcosa di ancora diverso. Un vero e proprio spettacolo che ha cercato di ricreare l’atmosfera rétro di un locale di un’epoca indefinita, ma lontana parecchi decenni, con dei figuranti a fare da spettatori e a muoversi tra nuvole di fumo, tra tavoli e bottiglie, ballando, bevendo e anche guardando e ascoltando. Tra coreografie attente e immagini molto ricercate in un bianco e nero visivamente molto suggestivo ed efficace, Bob Dylan e la sua band - tutti, tranne ovviamente Bob che doveva cantare, rigorosamente con la mascherina - hanno eseguito un repertorio che ha privilegiato il primo decennio della sua attività. Il sottotitolo di Shadow Kingdom è infatti The Early Songs of Bob Dylan, che fa pensare che potrebbe essere solo la prima parte di una serie. C’è stata però anche un’ottima e intensa esecuzione di What Was It You Wanted da Oh Mercy del 1989 a interrompere la sequenza di canzoni anni ’60 e (poche) ’70. Tutte le canzoni sono state presentate in arrangiamenti nuovi, spesso molto azzeccati che hanno saputo trovare risvolti inediti anche da classici eseguiti molte volte. Su tutte, un’ottima e rallentatissima, quasi parlata, versione di Tombstone Blues con un Bob Dylan dalla dizione perfetta a scandire le parole come se desiderasse che non ne venisse persa alcuna. Altro highlight notevole è stato Forever Young che come sappiamo ha avuto innumerevoli - e generalmente ottime - versioni: questa è molto particolare, valorizza in modo perfetto il testo senza enfatizzarlo, una variazione molto apprezzabile sul tema. A sentirla una seconda volta, come ho appenaa fatto, semplicemente meravigliosa. Tra le meno eseguite, è stata rispolverata Pledging My Time, che mancava da oltre vent'anni dal repertorio live e che comunque è stata suonata ben poche volte nel corso degli anni. In definitva, uno spettacolo interessante. riuscito, molto “preparato” e visivamente sofisticato, che ha ricordato curiosamente, per l’ambientazione in un locale tra avventori figuranti, lo special canadese del 1964 per Quest

La regia di Alma Har'el, interessante regista israeliana il cui Bombay Beach (2011) aveva diverse canzoni di Bob Dylan nella colonna sonora, è molto attenta e varia nelle soluzioni visive. In diverse canzoni, in particolare Queen Jane, la camera è fissa praticamente per tutta la durata del brano, con una scelta che ricorda quella di Larry Charles in Masked and Anonymous. altre volte la canera is muove in modo fluido e morbido per valorizzare l'ambiente, ma in genere l'inquadratura privilegia Bob, anche in questo caso ricordando le riprese concertistiche di Renaldo & Clara. Il che, unito a quanto sopra, fa pensare a un input dello stesso Dylan. ci sono anche canzoni, come I'll Be Your Baby Tonight, in cui Bob è al centro dell'immagine, ma la divide con due argazze che hanno una notevole funzione distrattiva: sottigliezze visive interessanti.

Il sound è particolare, soffuso, morbido. Bob Dylan suona un po' di chitarra, un po' d'armonica, mai il piano. Non c'è la batteria, c'è la fisarmonica a colorare il suono. Un insieme molto particolare, gradevole. La voce è in gran forma.

Suoni e immagini rimandano indietro nel tempo e fanno pensare a un'epoca cui Bob Dylan non è mai appartenuto, ma a cui, può essere, vorrebbe appartenere, rimanendo sempre e comunque se stesso.

venerdì 9 luglio 2021

Dizionario dei film horror (Bloodbuster)


Nel mio Dizionario dei film horror, terza edizione (Bloodbuster), ci sono, più o meno, 4129 film. Di questi, i film con cinque stellette sono solo 23- Se non sbaglio dovrebbero essere questi: Il dottor Jekyll (1931); Eraserhead – La mente che cancella; Freaks; Horrors of Malformed Men; L’inquilino del terzo piano; L’invasione degli ultracorpi; La jena; Jigoku (1960); King Kong (1933); La moglie di Frankenstein; Nero criminale – Le belve sono tra noi; Nosferatu il vampiro (1922); La notte dei morti viventi (1968); L’occhio che uccide; Occhi senza volto; Psyco; La settima vittima; Suspense; Suspiria (1977); Gli uccelli; Il vampiro (1932); The Wicker Man; Zombi.
Romero e Hitchcock sono quindi gli unici registi ad avere due film a cinque stellette. Naturalmente sono scelte opinabili, sono le mie scelte in sostanza: è probabile che ci sia più di qualcuno che non solo non è d’accordo, ma che non ritiene neppure che alcuni dei film succitati siano horror. È anche questo il bello dei dizionari, soprattutto di quelli di genere.
Ci sono poi 104 film che hanno quattro stellette: il numero l’ho tratto da una ricerca che ho svolto appositamente nel pdf per cui dovrebbe essere corretto, ma non è del tutto certo. A differenza di quelli a cinque stellette, alcuni di quelli a quattro sono recenti, come Zombie contro zombie, per esempio. Magari con il tempo cresceranno nella mia considerazione e arriveranno a cinque stellette qualora - e non è per nulla scontato - dovessi scrivere una quarta edizione. Non ci sono invece film con quattro stellette e mezza. Va da sé che le stellette rappresentano un po' l'aspetto ludico dei dizionari e si prestano a discussioni e considerazioni infinite: non credo ci sia nessuno dei lettori che sia d'accordo interamente con me nell'attribuzione di tutte le stellette ed è logico che sia così. Ed è anche normale che sia così.


lunedì 28 giugno 2021

Come Play - Gioca con me


Come Play - Gioca con me
di Jacob Chase è un nuovo horror che, come Polaroid e altri ancora prima e dopo, prosegue la tendenza all'espansione in lungometraggio di precedenti cortometraggi degli stessi autori, naturalmente aggiungendo molta materia narartiva.

Chi vuole, può leggere su MYmovies la mia recensione.

giovedì 24 giugno 2021

A Quiet Place II


Oggi è uscito nei cinema A Quiet Place II, che i più intuitivi potranno certamente riconoscere sin dal titolo quale seguito di un altro film che si chiamava allo stesso modo, ma senza il numero romano e con in più un sottotitolo (Un posto tranquillo). A dirigerlo è sempre John Krasinski che, essendo il suo personaggio morto nel film precedente, stavolta si limita a un cameo, ma in più scrive la sceneggiatura. Protagonista è sempre sua moglie Emily Blunt assieme, in particolare, a Millicent Simmonds, che ruba spesso la scena.

Chi è interessato a sapere che cosa ne penso può cliccare qui e andare su MYmovies per leggere la recensione che ho scritto per loro.

Qui sopra Millicent Simmonds ed Emily Blunt in una scena dal film.

mercoledì 23 giugno 2021

Le calde notti del diabolico dr. Carelli e Il ritorno del diabolico dr. Carelli - Apocalisse infernale


Le calde notti del diabolico dr. Carelli
è il primo romanzo di un dittico, per ora, che Marcello Garofalo, noto critico cinematografico, ha scritto sul particolare personaggio del titolo. Sorta di feuilleton moderno, come i feuilleton procede tra rivolgimenti, colpi di scena e morbosità seguendo le avventure di un personaggio negativo che di più non si potrebbe (ma le cose poi cambiano parecchio), erede degli eroi neri, appunto, del feuilleton, ma anche di certi villain cinematografici tra i quali non è possibile non ricordare almeno il dr. Phibes, cui questo dr. Carelli, pur molto diverso, in qualche modo può essere almeno inizialmente accostato. Così come in parte ricorda, anche per la pazzia che in questo caso però più che incipiente è conclamata (ma anche qui solo inizialmente), il dr. Griffin de L’uomo invisibile. Le citazioni cinematografiche abbondano e sono godibili per l’esperto e l’inesperto. La cosa non sorprende dato che l’autore è un ben noto e apprezzato critico cinematografico, ma comunque diverte ed è questo l’importante. Da non trascurare inoltre la presenza di tocchi di garbata exploitation.

Il dr. Carelli è tornato dalla morte grazie alla zia scienziata, un po’ perplessa sul risultato del suo esperimento. Ma è tornato come una sorta di scheletro - deve indossare una specie di finta faccia per non turbare troppo la vista degli umani - ed è animato da uno spirito vendicativo ed eccentrico. Elementi questi che come detto richiamano il dr. Phibes, pur con molte evidenti diversità che si accentuano nel progredire della vicenda nel corso della quale Carelli acquista connotazioni sempre più originali. Ma Carelli è solo uno dei personaggi della storia, che assume maggior valore di intrattenimento proprio per la presenza di una moltitudine di caratteri ben delineati e ciascuno con un proprio valore e un proprio tasso di particolarità o di eccentricità. E soprattutto l’andamento della vicenda è caratterizzato da una simpatica imprevedibilità che rende interessante e avvincente la lettura. Sino al pirotecnico finale in cui il redde rationem scatenato avviene in un Empire State Building ricco anch’esso, come ben sappiamo, di storia del cinema.


La quantità di citazioni e riferimenti cinematografici, evidenti o no, è consistente: un fluire continuo di rimandi alla memoria collettiva, reale o potenziale, dei lettori, che forse saranno anche stimolati dalla lettura a scoprire o riscoprire alcuni dei film richiamati, o magari anche tutti perché no.


Il ritorno del diabolico dr. Carelli - Apocalisse infernale è il seguito, com’è giusto che sia. La serialità è spesso caratteristica del cinema, anche e soprattutto del cinema citato e preso a riferimento dal primo romanzo, per cui un secondo episodio è naturale e il personaggio si presta allo scopo. Questo secondo capitolo inizia con una citazione da Bob Dylan (dalla canzone Open the Door Homer, che poi invece come si sa è Richard, dei leggendari Basement Tapes) e quindi comincia bene. Il personaggio principale prosegue la sua attività ferocemente vendicativa come una sorta di super eroe positivo/negativo, negativamente positivo o positivamente negativo. Ma le situazioni si complicano in un vortice di avvenimenti sopra le righe, sempre punteggiati da citazioni cinematografiche di vario genere, compreso un riferimento alla Ursula Andress di una commedia all’italiana a episodi piuttosto dimenticata (e, diciamolo, dimenticabile) come Letti selvaggi (1979) di Luigi Zampa. Per non parlare del quasi coevo Ciao maschio di Ferreri. Talvolta, a questo proposito, il pensiero del dr. Carelli è opinabile, come quando definisce La noche del terror ciego (il primo dei film del ciclo dei Templari zombie di Amando de Ossorio, noto in italiano come Le tombe dei resuscitati ciechi) come brutta e stupida pellicola, ma non è che sia l’unico a pensarla così, per la verità.

La storia è densa, piena di avvenimenti e di rivolgimenti, cattura l’interesse riproponendo la lotta tra creature particolari contornate da personaggi che a esse sono in qualche modo legate. Il connubio di generi svariati si fa sempre più vorticoso con large iniezioni del genere super eroico a rendere movimentato e rutilante l’insieme di horror, sf, melodramma e molto altro ancora. I personaggi vengono ancor più approfonditi nelle loro psicologie e qualcuno di loro - protagonista compreso - ha anche sviluppi caratteriali impensati. Il motore è sempre un esperimento proibito, da vera e propria mad doctor, della zia del dottor Carelli, una scienziata tanto posata nei modi quanto spregiudicata nell’esercizio della scienza.

L’elemento super eroico già presente nel primo capitolo, si evidenzia ancora di più in questo follow-up con i due team contrapposti che si preparano alla battaglia affinando super poteri o comunque abilità particolari in un contesto spesso fumettistico oltre che cinematografico. È evidente che si intravede come questi libri siano molto atti a diventare sceneggiature per il fumetto o per il cinema e abbiano in questo senso qualità “visive” assai vivide, sino a un finale pirotecnico catastrofico. Vera pulp fiction di cui è consigliata la lettura.


giovedì 10 giugno 2021

Run


Oggi esce al cinema un nuovo thriller orrorifico. Si intitola Run ed è diretto da Anees Chaganty. Le protagoniste sono Sarah Paulson e Kiera Allen.

Chi è interessato può cliccare qui e andare sul sito di MYmovies per leggere la recensione che ho scritto.

mercoledì 9 giugno 2021

Le nuove sottilissime astuzie di Bertoldo e altre piacevoli storie di Pinù Intini


Le nuove sottilissime astuzie di Bertoldo e altre piacevoli storie
(Festina Lente, 224 pagine, € 16) è un volume importante. Innanzitutto perché raccoglie una parte significativa della sterminata produzione fumettistica di Pinù Intini, un artista dalle poliedriche qualità. Chi vuole avere una minima idea della sua rilevanza può leggere quanto ho scritto su questo blog in occasione della sua prematura scomparsa. Questo volume è quindi una valida testimonianza della qualità dei suoi fumetti ed è molto significativo anche perché ci mostra come le sue storie, nelle quali prevaleva una satira apparentemente bonaria e in realtà molto puntuta ed efficace, siano ancora molto attuali anche se - quelle contenute nel volume - risalgano a diverse decadi fa.

Come ci rivela il titolo, il volume racchiude soprattutto le storie che Pinù ha dedicato al personaggio di Bertoldo, che appartiene alla tradizione letteraria italiana e che Pinù ha saputo adattare e reinventare mirabilmente in modo da renderlo attuale ai nostri tempi pur continuando ad ambientarlo in un Medio Evo ricostruito in modo figurativamente impeccabile e suggestivo. Attraverso Bertoldo, Pinù affronta tematiche sociali e politiche mostrando invariabilmente le manchevolezze della natura umana e le scorciatoie morali che spesso taluni prendono per il loro tornaconto. Il tutto sempre con un umorismo che rende gradevole e piacevole la lettura, aiutata anche dalla bellezza e dalla simpatia dei disegni. Oltre a Bertoldo ci sono inoltre altre storie di altri personaggi provenienti dall’inesauribile fantasia di Pinù, come Ottavio da Castellana, accompagnato dall’esilarante dottor Usucapione, o Riccio Flint.

Curato con competenza e dedizione dal figlio Stefano Intini, grande autore di fumetti a sua volta, il volume - di grande formato e notevole cura editoriale - contiene anche una completa e indispensabile cronologia dell’opera fumettistica di Pinù, una bella intervista a Pinù da parte di Antonio Corain, uno scritto di Pinù stesso e una prefazione di Stefano Intini, oltre a una postfazione che ho avuto il piacere e l’onore di scrivere io stesso.

Inutile dire che consiglio assolutamente di leggere il libro: chi lo farà non resterà deluso.

martedì 1 giugno 2021

Possession - L'appartamento del diavolo


Possession - L'appartamento del diavolo
è il nuovo horror di Albert Pintó, coautore qualche anno fa dell'interessante Matar a Dios. Qui riprende il tema della casa infestata, uno dei più frequentati nella storia del cinema horror. Chi è interessato, può andare su MYmovies e leggere la recensione che ho scritto.

Cinquant’anni fa…


Nel mese di giugno del 1971, quindi la bellezza di mezzo secolo fa, io e mio fratello Gianni pubblicavamo il nostro primo fumetto. Si intitolava Il Santo muore e raccontava gli ultimi momenti della vita di Sant’Antonio. In realtà, era il secondo fumetto per così dire “professionale” che avevamo realizzato, ma venne pubblicato a spron battuto per coincidere con la ricorrenza della festa di Sant’Antonio che, come si sa, è il 13 giugno. L’altro fumetto venne pubblicato il mese successivo, nel luglio 1971 ed era anch’esso un fumetto basato su fatti storici: si intitolava Uscire dal muro e raccontava di una fuga da Berlino Est. La rivista che pubblicò quei fumetti si chiamava - e ancora si chiama - Il Santo dei Miracoli e conteneva una sezione di sei pagine, intitolata Moscacieca, dedicata ai ragazzi con racconti, giochi, barzellette e fumetti. L’aveva creata e la curava personalmente Pinù Intini, grande fumettista, grafico, redattore e tante altre cose ancora. Fu lui a scoprirci, se così si può dire, offrendoci l’opportunità di pubblicare sul Santo dei Miracoli dopo che eravamo improvvidamente andati nella redazione del Messaggero dei Ragazzi, di cui lui era redattore, a proporre un’improbabile collaborazione. Con l’occasione mi fa anche piacere segnalare l’uscita di un volume dedicato ai fumetti di Pinù, Le nuove sottilissime astuzie di Bertoldo e altre piacevoli storie (Festina Lente), di cui consiglio caldamente la lettura e su cui magari tornerò nei prossimi giorni.

Ero molto, molto giovane e ho avuto il piacere di esordire a un’età in cui di solito ci si limita a leggere. Ero anche molto inesperto e acerbo nel modo di narrare e di costruire la storia, ma la mia esperienza ho avuto la fortuna di costruirmela sul campo, continuando a scrivere e a pubblicare nel corso degli anni. Se riguardo adesso quelle pagine non posso che vederne l’inadeguatezza e gli errori dal punto di vista tecnico e di sceneggiatura e sono grato ancora a Pinù che mi ha dato la possibilità comunque di avere la soddisfazione della pubblicazione e mi ha consentito di crescere gradualmente.

A titolo di curiosità, nel medesimo numero di Moscacieca in cui Gianni e io esordimmo era pubblicata una puntata del western Morgan’s Rest di Aldo Capitanio, altra scoperta (e ben più illustre) di Pinù. A guardare quelle pagine bisogna dire che Capitanio era già di un’altra categoria.

giovedì 27 maggio 2021

Freaky


Oggi è uscito al cinema Freaky, una nuova commedia horror diretta da Christopher Landon, figlio dell'attore Michael Landon che fu il licantropo adolescente di I Was a Teenage Werewolf (1957).

Chi è interessato, può leggere qui la recensione che ho scritto per MYmovies.

Qui sopra un'immagine dal film con la protagonista Kathryn Newton in evidenza. L'altro protagonista principale è Vince Vaughn che fu Norman Bates per Gus Van Sant.

lunedì 24 maggio 2021

Bob Dylan 80


Com’è tradizione di questo blog, allo scoccare della data fatidica colgo l’occasione per fare gli auguri a Bob Dylan. Quest’anno sono 80. Io ne ho un po’ di meno e batto volentieri la fiacca. Lui alla sua età si è fermato nella sua attività concertistica solo perché costretto dalla pandemia. Ne ha approfittato però per fare uscire uno dei suoi dischi migliori, più densi di significato, più coesi musicalmente, più magnetico e, se vogliamo, che attira maggiormente l’ascolto. Rough and Rowdy Ways è un disco che si fatica ad abbandonare, che stimola ripetuti ascolti, sempre alla ricerca di nuovi risvolti, sempre più rapiti da un tessuto sonoro unico e complesso. Lascio volentieri ai critici letterari e musicali l’analisi e l’interpretazione di testi e musiche così significativi e sfuggenti, così impenetrabili e allo stesso tempo così vicini da parlare direttamente alla nostra anima. Da parte mia, non so spiegare perché, per esempio, una canzone come Key West (Philosopher Pirate) mi tocca così profondamente e non ci provo nemmeno, a spiegarlo. L’altro giorno ho letto un bel post sul blog White City Cinema di Michael Glover Smith nel quale, in occasione degli 80 anni di Dylan, venivano elencate quelle che secondo l’autore erano le 80 più grandi canzoni di Bob Dylan e al primo posto c’era proprio Key West. La breve motivazione si concludeva così: “This is the final song on my deathbed playlist, the one I hope to be listening to at the exact moment my soul leaves my body.” Non potrei essere più d’accordo. Purtroppo, lo so, non andrà così. A tutti noi piace pensare che ci spegneremo serenamente nel nostro letto magari sulle note di qualcosa che significa molto per noi, circondati dall’affetto dei nostri cari. Invece, per bene che ci andrà, no, non dico niente che è meglio. Il post, che merita, lo trovate qui.

La cifra tonda, com’è naturale, ha già cominciato ad attirare anche quelli che di solito non parlano o non scrivono di Bob Dylan. Probabilmente, sicuramente, lo diranno anche al TG. Chissà. Durare ha anche questo effetto o questo privilegio. Attirare i professionisti della banalità, gli specialisti dell’elogio seriale. Nuovi libri e nuove biografie hanno già cominciato ad affollare le librerie. Di alcuni di questi avremmo potuto forse farne a meno, ma l’occasione è buona anche per libri molto interessanti. E del resto a suo tempo - in epoca, come si dice, non sospetta - ne ho scritto uno anch’io. Peraltro, nello scriverlo, mi è sembrato di pagare almeno in minima parte un debito di riconoscenza per quello che Bob Dylan inconsapevolmente mi ha dato in tutti questi anni. Debito, perché con Il cinema di Bob Dylan ho affrontato un tema trattato poco e male, in genere. E in genere da critici che, dall’alto o dal basso di una loro presunta superiorità, non vedevano l’ora di poter parlare male di Bob Dylan. Certo, adesso vedo qua e là scritti che trattano l’argomento prescindendo bibliograficamente dal mio libro, che pure è stato uno dei due (o tre) al mondo sulla questione, ma tant’è, è normale. Segnalo tra le tante iniziative il numero di Linus dedicato a Dylan. Era una vita che non comperavo Linus. Ne è valsa la pena e vi consiglio di farlo a vostra volta. A parte gli articoli - tra cui quello, immancabile e sempre interessante, del super esperto, nonché traduttore ufficiale dylaniano, Alessandro Carrera - sono di particolare valore specifico gli omaggi fumettistici, naturale prerogativa di una rivista a fumetti. Tra questi mi è molto piaciuto, ma non è un caso, quello di Lorenzo Mattotti.


Dopo otto anni, l’anno appena trascorso ci ha portato, come accennavo sopra, un grande disco di Bob Dylan. La speranza è che per il prossimo l’attesa sia minore e che magari ci siano altre belle sorprese, come, per far solo un esempio, il secondo volume di Chronicles. Sperare non costa nulla ed è forse il sale della vita. Inganneremo comunque l’attesa con quanto già uscito e con quanto uscirà dagli archivi (si parla già del prossimo Bootleg Series dedicato a Infidels…). sapendo, comunque, che in ogni caso quello che ci ha già dato è stato tantissimo: mentre scrivo queste parole sto ascoltando Forever Young nella versione dal vivo di Mannheim del 18 luglio 1981. Basterebbe solo quella, struggente e devastante, a giustificare una carriera.

giovedì 20 maggio 2021

Il sacro male


Oggi è uscito al cinema un nuovo horror. Si intitola The Unholy e da noi è stato ribattezzato Il sacro male. La regia è di Evan Spiliotopoulos, già apprezzato sceenggiatore. L'argomento tratta dei miracoli, della religione e di come la gente si approccia a queste cose e può essere facilmente manipolata dai lupi in veste d'agnello. Chi è interessato a leggere la recensione che ho scritto per MYmovies può cliccare qui e andare a leggerla su quel sito.

Qui sopra un'immagine della brava Cricket Brown, tra le protagoniste del film.

lunedì 17 maggio 2021

Dizionario dei film horror: alcune schede che non ci sono (e va bene così)


La terza edizione del Dizionario dei film horror (Bloodbuster) contiene, salvo errori di calcolo, 4129 film. Quindi, un bel po’. Ogni tanto però qualcuno mi chiede ma perché non c’è quel film o quell’altro film? Oppure, anche, ma perché c’è quel film o quell’altro film? O ancora, come mai non c’è quel film se c’è quell’altro? La risposta è semplice come ho detto più volte. Un film non c’è perché non l’ho ritenuto horror o perché mi è sfuggito. Alcuni film che mi sono sfuggiti sono stati inseriti nella seconda edizione e altri anche nella terza. Ci sono però, come detto, dei casi di film che non ci sono perché non li ho ritenuti horror. I criteri li ho spiegati nel Dizionario facendo anche qualche esempio però è chiaro che, per quanto abbia cercato d’essere obiettivo e di avere criteri sistematici coerenti, alla fine ho deciso io. Non c’è un comitato scientifico che decide a maggioranza. Ho deciso io sulla base di quello che ho ritenuto giusto. Del resto, il Dizionario l’ho scritto io. Non potevo far decidere qualcun altro anche se sono sempre stato aperto a consigli e suggerimenti.

Detto questo, dubbi e incertezze ne ho avuti spesso. Se voi guardate Imdb, per esempio, vedrete che molti film hanno tre o quattro o più generi di appartenenza e tra questi spesso c'è anche l’horror per cui il termine viene usato con una certa disinvoltura. Perciò, molte volte mi è capitato di dover vedere dei film perché qualcuno aveva suggerito avessero aspetti horror significativi. Come ho raccontato più volte ho un file nel mio computer contenente svariate centinaia di film che ho considerato e poi scartato per il Dizionario. Ma c’è di più. Ci sono dei film che sono arrivati alla fase successiva. Film per i quali ho concretamente scritto le schede che poi, in ultima analisi, ho scartato. Poiché le ho scritte e non me ne faccio niente, ho pensato di pubblicarne qualcuna qui, a titolo esemplificativo. Ecco quindi qui di seguito alcune delle schede scartate appartenenti a film che non ci sono nel Dizionario ed è bene che non ci siano, ma sono comunque delle recensioni che ho scritto. Non sono tutte, magari in futuro ne posterò qualcun altra. Sono comunque in ordine sparso. Quindici. Sono un po’ grezze, magari, e non rifinite, ma tant’è.


Aberrazioni sessuali in un penitenziario femminile
(Las melancőlicas, SP 1971) di Rafael Moreno Alba con Analia Gadé, Francisco Rabal, Espartaco Santoni, Maria Asquerino. 110’
In un manicomio femminile, sorvegliato da un guardiano (Francisco Rabal) sempre sudato e bevuto e coadiuvato da suore, è rinchiusa una donna, Tania (Analia Gadé). Al manicomio arriva un nuovo dottore (Espartaco Santoni), pieno di buona volontà e di idee liberali e umanitarie, oltre che sostenitore dell’ipnotismo a fini curativi. Il nuovo dottore si scontra con le rigidità del regolamento del manicomio e si concentra su Tania, cercando di aiutarla. Ma nel passato di Tania c’è un terribile segreto. Melodramma manicomiale pieno delle cose che ci si può aspettare vi siano, ma il tasso exploitativo è confinato in sostanza in una sola sequenza in particolare (essendo un film spagnolo prima del destape è probabile che si tratti di una sequenza prodotta per il mercato estero). L’elemento orrorifico, davvero minimale, è ridotto all’ultima parte del film e ha un sottofondo esorcistico ante litteram. L’ambientazione, abbastanza accurata, è fine ‘800. Nell’insieme il film è un po’ greve anche se benintenzionato. Vigorosa, anche se un po’ monolitica, l’interpretazione di Espartaco Santoni. (Le vergini cavalcano la morte). Più sfaccettata e duttile la prova del bravo e rinomato Francisco Rabal (Dagon - La mutazione del male). Graficamente suggestivi e ben realizzati i titoli di testa, sullo sfondo di una musica dissonante con vari richiami religiosi. Il penitenziario femminile del titolo italiano non c’è, così come mancano le aberrazioni sessuali. ★★

La morte corre sul video
(Dead Innocent, CAN 1997) di Sara Botsford con Geneviève Bujold, Nancy Beatty, Graham Greene, Emily Hampshire. 91’
Suzanne St. Laurent (Geneviève Bujold) è un’avvocatessa affermata e vive in un lussuoso appartamento assieme alla figlia adolescente Nicole (Emily Hampshire) con la quale ha un rapporto leggermente conflittuale. In casa la aiuta la colf Rosa (Susan Glover). Mentre c’è solo Rosa (che fa una brutta fine), uno sconosciuto si introduce in casa St. Laurent. Quando Suzanne torna non trova Nicole, che invece dovrebbe esserci. E, soprattutto, trova il cadavere di Rosa, sgozzata. Una voce, non si sa da dove, le parla e le dice che la controlla: se apre la porta per fuggire, sua figlia morirà. È l’inizio di un incubo. La lunga parte iniziale introduce con lentezza personaggi che, in quanto piuttosto schematici, avrebbero potuto essere abbozzati in modo più svelto e se ne sarebbero comunque comprese le caratteristiche e le psicologie. La seconda parte, con il cupo e opprimente gioco mortale guidato dalla voce fuori campo che ben presto si materializza per lo spettatore, acquista tensione grazie anche alla buona gestione del racconto, claustrofobico e ossessivo. La terza parte si apre all’azione e mantiene una discreta suspense focalizzandosi anche sul background motivazionale del crimine. Niente di troppo sorprendente, ma l’intrattenimento c’è. Unica regia dell’attrice Sara Botsford, di cui si apprezzano le doti narrative e visuali. Buono il cast con Geneviève Bujold che offre una solida interpretazione nel ruolo principale, ma l’impressione migliore la desta il bravo caratterista Graham Greene. ★★½

Sonno profondo
(Argentina 2013) di Luciano Onetti con Luciano Onetti, Daiana Garcia, Silvia Duhalde. 67’
Un misterioso assassino uccide, accoltellandola, una modella brasiliana che ha posato per Playboy. Tornato a casa, l’assassino riceve, da sotto la porta, una busta contenente foto dell’omicidio. L’assassino capisce d’essere diventato un bersaglio di qualcuno che la sa lunga e deve cercare contromisure. Luciano Onetti scrive, dirige, monta, interpreta e compone (e conduce) pure le musiche: chiara la sua intenzione di rendere omaggio, reinterpretandola, alla tradizione del giallo all’italiana degli anni ’60 e ’70 e alla particolare iconografia che l’ha contraddistinta, dall’uso dei guanti neri a quello delle armi da taglio, passando per quello di tutta una serie di oggetti vintage che servono a creare un’atmosfera e definire un periodo. Il rischio di una messa in scena puramente estetizzante non è del tutto evitato (nel film non succede molto e quel non molto consiste principalmente in una consapevole ricreazione di stilemi tipici del genere di riferimento) e il voler narrare principalmente con le immagini (dai colori tipicamente saturi), se è encomiabile, rallenta parecchio il ritmo e rende talvolta ridondante l’azione. La trama è scarna, ma non priva di ingegnosità. Insistente l’uso della soggettiva, un tantino sfibrante. In definitiva, un esercizio di stile non senza meriti, ma solo per spettatori motivati che apprezzano questo genere di cose. Esordio alla regia per l’argentino Onetti che mostra una notevole ricercatezza visuale e il piacere della ri-creazione, ★★½

1922
(Id., USA 2017) di Zak Hilditch con Thomas Jane, Molly Parker, Dylan Schmid, Kaitlyn Bernard. 102'
Wilfred Leland James (Thomas Jane) scrive la sua confessione. La causa di tutto, spiega, sono centro acri di terra nel Nebraska ereditati da sua moglie Arlette (Molly Parker). Wilfred pensava di unirli ai suoi ottanta per poi lasciare tutto al figlio Henry (Dylan Schmid), ora quattordicenne. Arlette, invece, vuole venderli per trasferirsi a Omaha, in città. Un accordo non si trova perciò Arlette propone di vendere tutto, dividere i soldi e divorziare. Arlette vorrebbe portare con sé anche Henry, che invece ama la vita in campagna. Wilfred si prende del tempo per riflettere, ma le sue riflessioni non portano a nulla di buono. Henry ha iniziato una relazione con Shannon (Kaitlyn Bernard), la figlia dei vicini, e Wilfred ne approfitta per montare il figlio contro la madre, dato che, se le cose andassero come vuole lei, Henry dovrebbe rinunciare a Shannon e alla campagna. Wilfred perciò uccide Arlette con l'aiuto di Henry e ne getta il cadavere nel pozzo. Per Wilfred le cose finirebbero lì, ma l'avvocato Lester, della compagnia cui Arlette voleva vendere il terreno, vuole vederci chiaro. Lo sceriffo indaga, ma si accontenta di poco. Tutto sembra quindi procedere per il meglio, ma in realtà è l'inizio di un'ossessione. La parte preparatoria dell'omicidio è realizzata con cura e buona efficacia, aiutata anche da una suggestiva ambientazione anni '20: soprattutto il personaggio di Arlette - donna volitiva in un'epoca difficile, che non si rende conto del pericolo che corre – è tratteggiato con sensibilità, in particolare nella parte in cui, credendo d'aver raggiunto lo scopo sperato, si lascia andare, felice di non aver perso – crede lei – l'amore dei suoi familiari. La parte successiva, in cui cresce non il rimorso, ma la presa di coscienza dell'inutilità del gesto, con la disgregazione della famiglia e le cose che non vanno per il verso giusto, è di impianto più convenzionale, ma è comunque realizzata con buona professionalità. La metafora dei topi, quali personificazione del male compiuto che ritorna senza poter essere scacciato, è un po' risaputa, ma di buona efficacia anche visuale. Cupo e deprimente, ricco di atmosfera, ma un po' troppo prevedibile. Echi shakespeariani anche nell'utilizzo dello spettro della moglie in stile spirito di Banquo. Tratto da un racconto di Stephen King. Buona la prova del cast, in particolare di Thomas Jane e Molly Parker. ★★½

Last Dance
(Id., USA 1992) di Anthony Markes con Cynthia Stanton, Rod Streetwater, Erica Ringstrom, Jason Logan. 83’
In un locale notturno deve tenersi uno spettacolo che verrà ripreso in diretta televisiva (dalla famosa rete DTV): le votazioni dei telespettatori permetteranno di eleggere la ragazza DTV dell'anno, tra le cinque ballerine che dovranno esibirsi. Però cominciano alcune defezioni: la prima, una certa Franci (Heidi Lands) viene fatta fuori all'inizio, dopo la classica doccia, le altre seguono a intervalli regolari. L’intreccio di flirt del titolare del locale è la chiave dei delitti: scopriremo, infatti, che l’assassina è Kelly (Elaine Hendrix), una delle ballerine concorrenti. Kelly, però, non uccide perché vuole vincere il titolo, uccide perché non sopporta che il titolare se le faccia tutte e quelle che non riesce a farsele, se le vorrebbe fare. L’ultima, infatti, non è ancora riuscito a farsela, ma Kelly tenta di farla fuori lo stesso. Quest'ultima, Jaime (Cynthia Stanton), è più tosta di lei, però, e la mette fuori combattimento sia nel finale sia nell'incredibile e outlandish sottofinale. Filmetto paratelevisivo con poche sorprese e qualche battuta con poche pretese. Gli omicidi sono intervallati da continue esibizioni delle ballerine, non particolarmente eccitanti. Da notare un subplot con la coreografa (Kimberley Speiss) che, vecchia fiamma del titolare, approfitta delle defezioni per esibirsi in luogo delle mancanti, ottenendo un buon riscontro di pubblico prima d’essere fatta fuori. Ancora di più da notare un fatto: ci sono due scene erotiche nel film e in entrambi i casi il body double è chiaramente lo stesso (la stessa) anche se le due scene dovrebbero essere con due donne diverse. ★

Amiche cattive
(Jawbreaker, USA 1999) di Darren Stein con Rose McGowan, Rebecca Gayheart, Julie Benz, Judy Greer. 87’
Questo film vorrebbe inserirsi nel filone delle commedie nere "cattive" e "anticonformistiche" che ha generato qualche prodotto interessante negli ultimi tempi. Però non ha il coraggio di andare troppo a fondo e, soprattutto, non riesce, pur usando qualche montaggio fumettistico e addirittura lo split-screen, a dare un corpo all'effervescenza nichilista che pretenderebbe di possedere. La storia riguarda l'omicidio accidentale compiuto da tre amiche nei confronti di una quarta, che intendevano rapire per burla nel giorno del suo compleanno. La cosa che va storta è uno "spaccamascelle" (il Jawbreaker del titolo originale), una caramella grossa e dura che messa in bocca alla ragazza rapita le finisce giù in gola e ne provoca la morte. Le ragazze sono scosse, ma Courtney (Rose McGowan), che è la loro leader, elabora una messa in scena con finto stupro e nasconde tutto. Se non che un'altra ragazza, timida e imbranata, è andata a portare i compiti alla morta e scopre tutto. Per evitare che parli, Courtney le offre la trasformazione da brutto anatroccolo a cigno, nome compreso (da Fern Mayo a Violet), così da prendere il posto della morta nel quartetto delle "dive" della scuola. La ragazza, che idolatrava quelle perfette ragazze, accetta. Julie (Rebecca Gayheart), invece, una delle tre coinvolte nel delitto sia pure con una parte puramente passiva, comincia a provare dei sensi di colpa, si allontana dalle altre e si confida con il suo nuovo fidanzato. Nel frattempo, il rude detective di polizia Vera Cruz (Pam Grier) fa le sue indagini dando sempre l'impressione di capire tutto e non capendo invece mai niente. Alla fine, ci penserà Julie che sbugiarderà Courtney proprio la sera della sua premiazione a reginetta (con più di qualche rimando iconografico e contestuale a Carrie). Darren Stein cerca di dare brio al procedimento, ma non ci riesce spesso. La trama poteva essere interessante, ma lo spunto di partenza non è sviluppato. Le ragazze sono personaggi del tutto monodimensionali e, oltretutto, la loro recitazione è a tratti insopportabile, soprattutto in Rose McGowan che probabilmente deve aver pensato che enfatizzare moine e ammiccamenti avrebbe dato spessore al suo personaggio. L'unico aspetto di qualche interesse è dato dalla trasformazione della secchiona in vamp, che dà un po' di respiro a una storia che si era fatta già asfittica dopo il primo quarto d'ora, ma il moralismo banale con cui è condotta (l'apparenza non conta, può essere spazzata via in un attimo) la priva di una sostanziale rilevanza. È curioso l'utilizzo di Pam Grier per il suo puro valore di icona del cinema d'azione: il suo detective ha ben poco da fare, ma lo fa con grinta. C'è anche William Katt in una parte microscopica di qualche secondo, come padre dell'assassinata. Per non parlare di Carol Kane, nel ruolo della svampita preside. ★½

Dolce assassina
(Sweet Murder, 1990) di Percival Rubens con Embeth Davidtz, Rex Garner, John Hussey, Helene Udy. 101’
Laurie Shannon (Embeth Davidtz) è una bella ragazzona sana che, appena arrivata in città, cerca un posto dove abitare. Per sua sfortuna, sceglie di dividere l'appartamento con l'occhialuta e complessata Lisa Smith (Helene Udy) che comincia a nutrire per lei qualcosa che, più che all'amicizia, somiglia all'invidia. Laurie ha un lavoro e trova subito un bel ragazzo: cose che Lisa non ha. L'elemento scatenante è una cospicua eredità che raggiunge a sorpresa Laurie, rintracciata dopo anni di ricerca da uno studio notarile. Lisa coglie al volo l'occasione. Laurie non è conosciuta, non ha parenti: non dovrebbe essere difficile sostituirsi a lei e incassare l'eredità. Dapprima Lisa cerca la collaborazione del ragazzo di Laurie (dopo esserselo fatto, tanto per metterlo di buonumore), ma questi inorridisce all’idea e lei lo ammazza. Poi uccide anche Laurie e mette in atto il suo piano, per realizzare il quale, però, deve uccidere ancora, correndo il rischio di essere scoperta. Per alcuni aspetti (la relazione tra le due ragazze, la coabitazione fortuita, la seduzione da parte dell'invidiosa del ragazzo dell'altra), questo film anticipa il più riuscito Inserzione pericolosa di Barbet Schroeder, ma l'atmosfera non si fa mai malata come in quel film e gli accadimenti si svolgono in modo più naturale, con la conseguenzialità delle cose andate male che prendono la mano. Lisa è costretta a uccidere più persone per non perdere la chance che si è costruita e dimostra una amoralità totale, incongruamente sconfessata, però, nell'attimo di smarrimento che ne provoca la morte. Percival Rubens - che dirige con una certa professionale piattezza - aveva cercato di metterla più volte in situazioni tipicamente hitchcockiane, anche riuscite, come quando due poliziotti le sostituiscono la ruota, spostando, per prendere quella di scorta, la valigia con l’ultimo cadavere. Lo studio caratteriale ha elementi di sottigliezza, ma il finale, inutilmente moralistico, ribalta ciò che abbiamo imparato a conoscere di Lisa e compromette la riuscita di un film che, pur con una prima parte decisamente lenta e troppo dedicata alla sola costruzione dei personaggi, aveva preso vigore nella seconda. ★½

The Michelle Apts.
(Id., CAN 1995) di John Pozer con Henry Czerny, David Sparrow, Richard McMillan, Maria Vacratsis. 91’
Un contabile governativo, Alex (Henry Czerny), va a fare un'ispezione in una fabbrica chimica in una cittadina di provincia, trovandosi a essere il classico pesce fuor d'acqua, tra stranezze inquietanti e personaggi sempre sul filo della follia. Va a vivere in un residence (The Michelle Apts. del titolo) in un appartamento liberatosi per l'improvvisa e, forse, misteriosa morte dell'occupante. Tra macchie sul soffitto, affascinanti vicine con mariti violenti ed estratti conto mancanti, il contabile cerca di barcamenarsi, senza apparentemente riuscirvi. Poi il marito geloso e manesco sembra morire accidentalmente e la vicenda vira sul noir con tanto di dark lady al cubo che si giostra amabilmente il contabile, il padrone della ditta e il padrone del residence prima di venire sepolta dal crollo del soffitto dell'appartamento, ormai marcio per le perdite, proprio mentre sta per coronare il suo piano facendo uccidere anche il contabile che ormai non le serve più. Sempre sul punto di deragliare sugli accidentati e temibili percorsi di una demenzialità kafkiana, il film si mantiene fermamente sui binari grazie a una sceneggiatura molto solida in cui tutto, alla fine, torna e a una regia attenta alle sfumature caratteriali e alle notazioni bizzarre, sempre guidata dallo stimolo a non banalizzare. Un piccolo gioiello canadese. ★★★

Mille pezzi di un delirio
(Track 29, 1987) di Nicolas Roeg con Theresa Russell, Gary Oldman, Christopher Lloyd, Colleen Camp.
Linda (Theresa Russell) è l'infelice moglie di un dottore (Christopher Lloyd) con la passione dei trenini (lui ce l'ha, questa passione) e con l'insopprimibile rimpianto per la perdita di un figlio avuto a quindici anni e dal quale è stata costretta a separarsi con la forza appena nato. Martin (Gary Oldman) è un bizzarro inglese che viaggia per gli Stati Uniti alla ricerca della mamma perduta e, smontato a forza da un irascibile camionista, finisce nella cittadina dove vive Linda, incontrandola in un bar e facendone conoscenza. A questo punto le cose cominciano a complicarsi. Martin si convince che Linda sia sua mamma e la tampina senza tregua, convincendola che si tratta della verità e portandole, a questo scopo, delle prove apparentemente inoppugnabili. Il rapporto tra i due si fa sempre più morboso, incestuoso e così via, mentre il dottore approfondisce la relazione con l'infermiera Stein (Sandra Bernhard), dalla quale ama essere sculacciato, e riceve le ovazioni dei congressisti amanti dei trenini. La svolta bizzarra avviene più o meno a metà film, quando ci si rende conto che solo Linda vede Martin, che quindi è diventato solo il frutto della sua immaginazione malata, scatenata evidentemente da quell'incontro fortuito e dalla somiglianza (vera? presunta? solo nei ricordi?) di lui con il ragazzo che, al luna park tanti anni prima, l'aveva costretta a fare l'amore per la prima volta. Il meccanismo di straniamento è simile a quello di Attimi di paura di Chuck Vincent. Vediamo cioè le cose con gli occhi della protagonista, non nel senso della soggettiva, ma nel senso della realtà come la vive lei. Vediamo lei e Martin, vediamo Martin distruggere l'elaborato diorama dei trenini del dottore e vediamo Martin uccidere il dottore, ma vediamo anche ogni tanto la realtà come in effetti è (o si pensa che sia): vediamo quindi i trenini in perfetta forma, vediamo Linda parlare da sola al bar mentre parla con Martin e vediamo Linda mentre sale col coltello per ammazzare il marito. Nonostante duri solo 87', il film si trova spesso a corto di fiato. Nicolas Roeg si conferma regista dalle intuizioni geniali cui spesso non corrisponde la costanza di metterle in pratica in modo adeguato. Però il ritratto di una mancanza forte, come quello della maternità sottratta, è incisivo e la disperazione della moglie è tratteggiata con efficacia, anche se il macchiettismo dei personaggi di contorno, godibile nel breve, ma poco funzionale nell'economia complessiva del film, ne riduce grandemente l'impatto. Il cast è di attori interessanti, ma nessuno si sottrae all'esagerazione, purtroppo. Produce la Handmade di George Harrison. ★★★

Secret- Himitsu
(JPN 1999) di Yojiro Takita con Ryoko Hirosue, Kaoru Kobayashi, Ken Kaneko, Yuriko Ishida.
A causa di un incidente (l'autobus nel quale viaggiavano è precipitato per un burrone), la giovane Monami (Ryoko Hirosue) e sua mamma Naoko (Kayoko Kishimoto) sono in fin di vita. Il marito e padre accorre e riunisce le mani delle due perché possano sentirsi. Il contatto avviene proprio nel momento in cui Naoko muore, ma l’anima di Naoko trasmigra nel corpo di Monami. Quindi, lo sventurato si ritrova ad avere la moglie nel corpo della figlia, con tutte le immaginabili conseguenze. Da una premessa che avrebbe fatto felice qualche autore di commedie facili, l’autore giapponese trae un film divertente e delicato che, pur non svicolando dalle tematiche più scabrose (è possibile fare sesso con la figlia pur sapendo che nel suo corpo c'è la personalità della moglie?), si mantiene su un tono lieve e profondo al tempo stesso, evidenziando con abilità il duplice stato d’animo di Naoko che da un lato è dispiaciuta d’aver rubato, sia pure involontariamente, il corpo della figlia e dall'altro è deliziata dalla possibilità di ripartire da capo. Impressionante e ben realizzata la scena dell'incidente in apertura del film, con una regia sapiente che riesce a dare un senso di vertigine e di caduta. ★★

Passion Unbounded - Sei kap yan kong
(HK 1995) di Jon Hau con Carrie Ng, David Wu, Hilary Tsui, Christine Ng.
Miss Tong (Carrie Ng) è una serial killer che ammazza indiscriminatamente uomini e donne a causa di un trauma infantile (novità delle novità), costretta com'era a restare nello stesso letto, benché girata dall'altra parte, quando sua mamma, prostituta, si faceva i clienti. Da aggiungere poi che le attenzioni consolatorie della mamma avevano un vago sapore lesbico-incestuoso. A rompere il suo tran-tran di serial killer solitaria è il ritorno della sorellina dagli studi all'estero. Non ci vuole molto alla sorellina per capire che la sorellona è un po' svitata. Di sicuro, la sorellina capisce molto di più della coppia di fratelli poliziotti incaricati del caso e più interessati alle proprie vicende amorose che a trovare l'assassino. La svolta è che Miss Tong si imbatte in un vicino di casa che ha la sua stessa passione, oltre a essere epilettico (particolare che non ha una funzione narrativa, se non per caratterizzare l'intrinseca momentanea debolezza dell'uomo che consente a Miss Tong di fare breccia - aiutandolo in una crisi - nella sua spessa corteccia di solitario poco socievole). Insieme uccidono Apple, l'amica della sorellina e da lì partono per una serie di omicidi di coppia che li rende molto affiatati.  Il film mesta nel torbido, unendo quel classico umorismo bizzarro e spesso poco riuscito di certi film hongkonghesi a scene di efferatezza sempre piuttosto trattenute, comunque. Le motivazioni dei personaggi - tranne quelle dei due assassini - sono piuttosto confuse e la narrazione alterna momenti banali a piccole ispirazioni, spesso slegate dal contesto (i set-up di qualche omicidio, come quello del transessuale). Poveristico e spesso ripetitivo, ha solo qualche barlume della selvaggia eccessività dei migliori esempi del genere e non è riscattato né dalla recitazione (tranne che in Carrie Ng, che però gioca molto sul sicuro) né dalla regia, che a parte qualche ricerca effettistica sul colore, non si spreca in inventiva. ★½

Poison - Istinto omicida
(Poison, CAN-GER-USA 1999) di Dennis Berry con Rosanna Arquette, Jürgen Prochnow, Mandy Schaffer, Michael Des Barres.
Traci (Mandy Schaffer) è una ragazzina patologicamente attaccata alla mamma Dana (Rosanna Arquette che interpreta la parte di un'attrice che vince un Oscar, sia pure come migliore attrice non protagonista) e, in mancanza, alle figure materne (la sua insegnante, a cui, facendolo passare per un incidente, fa fuori il fidanzato che la distraeva e le impediva di essere tutta per lei). La mancanza della mamma è dovuta al fatto che la mamma stessa si è attribuita la colpa dell'omicidio colposo del marito, in realtà ucciso proprio dalla ragazzina. Ma i tre anni di condanna sono finiti e Dana, abbandonata la carriera d'attrice, torna a riprendersi la piccola reproba e la porta nell'azienda vitivinicola che ha messo su con il taciturno Carl (Jürgen Prochnow), tutto dedito al lavoro. La ragazzina ne è entusiasta, ma ben presto si rende conto che c'è un sacco di gente che distrae da lei la sua mamma, tra cui il fratello di Carl che se la fa pure. Così, la ragazzina comincia a far fuori tutti, a cominciare dalla cameriera messicana e a finire con Carl (che, astuto, aveva mangiato la foglia e aveva detto alla ragazzina che la teneva d'occhio per poi farsi imbottigliare da lei in una botte metallica senza alcuna difficoltà) e suo fratello. Contenta, va a dire alla mamma quanto brava è stata. Rosanna Arquette recita malissimo. Mandy Schaffer è correttamente carina, non è molto espressiva come attrice, ma almeno si lascia vedere. Prochnow deve essere proprio alla frutta per accettare parti del genere. Il film riecheggia la serie dei Poison Ivy, sia pure con il cambiamento di direzione nella dinamica familiare, ma non è mai credibile né interessante. Prodotto televisivo, è piatto e banale su tutta la linea. ★

Weekend mortale
(Fear, USA 1988) di Robert A. Ferretti con Cliff De Young, Kay Lenz, Zoe Trilling, Scott Schwartz.
Una famigliola in crisi (marito e moglie che bisticciano sul lavoro di lei, figlia menefreghista e figlio semideficiente oltre che adolescente) vengono presi in ostaggio da un gruppetto di evasi (grazie all'immersione, provocata, del pullman che li sta trasportando in un altro carcere) e ritrovano compattezza di fronte all'abilità volitiva del babbo che tenta, con l'aiuto di tutti, di sgominare sanguinosamente la banda di efferati criminale, tra i quali si distingue, per idiozia, il consueto reduce dal Vietnam che crede di essere ancora in Vietnam. In un ruolo di carattere c'è anche il fratello di Stallone, Frank, che viene ucciso a metà film dal reduce maniaco di cui sopra. Se la trama sembra prevedibile e banale, ebbene è proprio così. ★

Alla fine del tunnel
(Tunnel Vision, Australia 1995) di Clive Fleury con Patsy Kensit, Robert Reynolds, Rebecca Riggs, Shane Briant. 100’
Kelly (Patsy Kensit) è una poliziotta coinvolta nell'indagine per scoprire il colpevole di una serie di delitti compiuti da un maniaco che si diverte a lasciare i cadaveri (di donne) in posizioni tali da rivelare un temperamento artistico. La prima traccia che Kelly e il suo collega, neosposo e vittima di accessi di gelosia nei confronti della moglie (rea di avere un rapporto troppo amichevole con un collega di lavoro), trovano è la somiglianza tra le composizioni con i cadaveri e i quadri di un pittore che opera in zona. Scoprono che il pittore frequenta un giro sadomaso con base in un locale specializzato e vedono che anche le vittime provengono da quell’ambiente. Tentano quindi di incastrare il pittore, ma questi ha un alibi di ferro: nelle notti dei delitti stava con la moglie di un senatore, che gli fornisce un alibi, anche se apparentemente controvoglia. Nel frattempo, il ménage coniugale del focoso partner di lavoro di Kelly sta andando a rotoli. Film australiano di non grande pregio, viaggia sui binari del thriller paratelevisivo, con qualche asperità che ne rivela la natura cinematografica (i cadaveri delle vittime, il locale sadomaso, benché appena tratteggiato). Rivisita il buddy-movie appaiando un uomo e una donna, ma inserendo il motivo nuovo della gelosia donna-donna che viaggia sotterraneo, lasciando in superficie quello più apparente della gelosia uomo-donna. Il film si lascia vedere con un relativo interesse. Non arriva mai a suscitare grandi tensioni, ma, diretto in modo veloce e funzionale, cerca di percorrere non una strada nuova, ma qualche vicoletto più inconsueto. Nella parte del capo di Kelly ricompare l'hammeriano Shane Briant. ★★

Breaking Dawn
(Id., USA 2004) di Mark Edwin Robinson con Kelly Overton, James Haven, Sarah-Jane Potts, Hank Harris. 83’
Nell’ambito dei suoi studi di medicina, Eve (Kelly Overton) riceve dal professor Simon (Joe Morton) l’incarico di seguire Don Wake (James Haven), uno psicopatico chiuso in se stesso sin dai tempi di un fatto di sangue ancora avvolto nel mistero e in cui lui è stato coinvolto non si sa bene in quale misura. Più procede il suo rapporto con Don e più Eve si sente coinvolta sino a perdere il suo equilibrio e ad avere la sensazione di una conferma reale delle paranoiche visioni di Don, che le parla di un misterioso e terribile Malachi in procinto di venire a cercarla. Vecchia regola quando si punta tutto su un mistero è che almeno sia tale. Qui purtroppo la soluzione è prevedibile già a metà film, in applicazione dell’altra vecchia regola che vuole la soluzione non difficile quando i personaggi sono pochi e conseguentemente le variabili. Perciò quando la soluzione “a sorpresa” arriva è inevitabilmente una delusione anche perché il passo trasognato e lento del film ha dato ampio modo allo spettatore di chiedersi quale fosse (la soluzione). Mark Edwin Robinson (classe 1980, all’esordio) ha però un piccolo guizzo e riesce a giocarsi abbastanza bene il post-delusione creando un’atmosfera rilassata e sospesa, grazie anche a un’accattivante canzone di sottofondo. Alcuni spunti non sono malvagi, ma il tutto sa troppo di compitino pianificato alla perfezione. Kelly Overton è molto impegnata nella parte. James Haven, figlio di Jon Voight e fratello di Angelina Jolie, è appropriatamente mellifluo e sinistro. ★½