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venerdì 12 giugno 2015

Sir Christopher Lee (1922-2015)

Sulla breccia da moltissimi anni, capace di sorprendere con interpretazioni autorevoli e intense anche in questi ultimi anni, sembrava semplicemente immortale. Eppure, anche lui alla fine se n'è andato, ultima colonna di un cinema che non c'è più, ma in fondo c'è sempre.

Internet Movie Data Base gli accredita quasi 300 interpretazioni, un numero impressionante che rende l'idea del suo attivismo, della sua voglia di recitare e del piacere che evidentemente provava nel farlo, pur non avendone la necessità nemmeno dal punto di vista artistico avendo già da molto dimostrato tutto quello che c'era da dimostrare.

Attore sapiente e multiforme più di quanto lo spettatore normale possa immaginare, Christopher Lee si è costruito con grande determinazione una carriera eccezionale, sapendo operare nel tempo delle scelte anche radicali che al momento potevano sembrare controproducenti, ma che invece dimostravano come fosse sempre perfetamente al timone della sua barca. Come la scelta di abbandonare, con qualche ritorno anche magari frequente, l'horror di cui era uno dei principi incontrastati. Oppure - e la cosa è collegata - quella di abbandonare il personaggio di Dracula, insoddisfatto del trattamento che gli era stato riservato. Diversamente dal suo grande amico Peter Cushing, Lee ha cercato subito di dare un'impronta internazionale e quanto più possibile varia alla sua carriera e ai ruoli. Ha vagato per cinematografie di molte nazioni - Italia compresa, dove lo si ricorda in molti horror ma anche in film comici come Tempi duri per i vampiri con Rascel e, molti anni dopo, L'avaro con Sordi - cercando di affrancarsi da una tipizzazione che gli sembrava riduttiva. Cercando e riuscendoci, come dimostra la mole di ruoli caratterizzanti che ha interpretato nel corso degli anni, senza alcuna connessione con l'horror: dallo Scaramanga del bondiano L'uomo dalla pistola d'oro al Saruman della saga de Il signore degli anelli al conte Dooku di Star Wars.

Ma mi piace ricordarlo nei film che l'hanno reso grande, come i capolavori della Hammer diretti da Terence Fisher (Dracula il vampiro su tutti) e come quell'affascinante affresco orrorifico filosofico che è The Wicker Man, film da lui prediletto. Un film che chiunque pensi che Christopher Lee sia un attore dal registro espressivo limitato dovrebbe vedere per capire quanto sia sbagliato questo preconcetto. Ed è bello pensare che Lee sia vissuto abbastanza a lungo da interpretare, sia pure in un semplice cameo a causa di un contrattempo di salute, The Wicker Tree, il seguito di quel film girato quasi quarant'anni dopo, nel 2011, dal regista originario Robin Hardy. Che si tratti di un seguito tutto sommato deludente, non importa. Certe volte anche la sola possibilità di riprendere un discorso è importante.

Christopher Lee non era solo un grande attore. Come Cushing, ma anche prima di lui, ha dimostrato notevoli capacità di scrittore, scrivendo un'autobiografia ripresa in mano negli anni con varie integrazioni. All'inizio si chiamava Tall, Dark and Gruesome, poi Lord of Misrule. Anche questa, purtroppo, non è stata mai tradotta in italiano, ma vi invito a leggerla perché è divertente, avvincente e, in qualche misura (nella misura consentita dalla riservatezza britannica), rivelatrice.

Nel mio piccolo, anch'io, qualche anno fa, ho reso omaggio all'attore con un saggio dedicato a lui e alla sua interazione con Terence Fisher e Christopher Lee, pubblicato all'interno del volume collettivo curato da Fabio Zanello e intitolato Christopher Lee, il principe delle tenebre (Profondo Rosso). Un libro in italiano che mi sento di consigliare a chi voglia approfondire la figura di Lee (e Cushing) è Peter & Chris - I dioscuri della notte di Franco Pezzini e Angelica Tintori (Gargoyle Books).

Ma soprattutto guardate i suoi film, è il modo migliore per ricordarlo.

domenica 10 maggio 2015

In All Sincerity, Peter Cushing by Christopher Gullo

Ci sono attori e attrici la cui presenza in un film è già motivo sufficiente per vederlo. Sono quelli che caratterizzano i film in cui recitano e hanno una personalità tale da catalizzare da soli l’interesse degli spettatori. È una cosa che va al di là della singola interpretazione e riguarda tutta l’opera di quel determinato attore o attrice. Ciascuno ha i suoi. Humphrey Bogart, per esempio, lo vedrei (e l’ho visto) in qualsiasi film. Anche perché generalmente, proprio per il tipo di ruoli che sceglieva e i film che sceglieva di fare, faceva comunque film che mi interessavano. Ma se dovessi scegliere un attore per me significativo sotto questo profilo, quell’attore sarebbe Peter Cushing, che per questo penso di poter definire come il mio attore preferito. Molti anni fa, quando ancora i suoi film uscivano al cinema, già sapevo, vedendo il suo nome nel cast, che avrei visto quel film volentieri. Scoprire un po’ alla volta nel corso degli anni che non era solo un grande attore, ma anche una persona squisita al punto da essere denominato il Gentle Man dell’horror è stato un piacere ulteriore: non ho fatto purtroppo avuto il piacere di conoscerlo persona perché, ignaro dei fatti (e cioè che era molto disponibile e gentile con gli ammiratori) in un’epoca in cui internet e le sue informazioni non esistevano, non sono andato a trovarlo nella piccola cittadina di Whitstable dove viveva (ci sono andato pochi anni dopo la sua morte e ho visto la famosa Cushing’s View, ma ormai era troppo tardi).

Ci sono libri e libri sulla Hammer, sull’horror britannico e su Peter Cushing in particolare. Posso citare a questo riguardo almeno l’ottimo The Peter Cushing Companion di David Miller e, restando in campo italiano, il prezioso Peter & Chris - I dioscuri della notte di Franco Pezzini e Angelica Tintori che si occupa della collaborazione tra Cushing e il suo fratello d’arte Christopher Lee. E ci sono naturalmente i due libri autobiografici dello stesso Cushing, una lettura che consiglio a chiunque conosca l’inglese (purtroppo nessuno ha ancora pensato di pubblicarli nel nostro paese, cosa che del resto si può dire anche dell’altrettanto interessante autobiografia di Christopher Lee).

In All Sincerity, Peter Cushing di Christopher Gullo (il titolo del libro riprende la frase con cui Cushing amava chiudere le sue lettere) si inserisce (anzi, si è inserito da tempo risalendo, come prima pubblicazione, al 2004) in un contesto non certo privo di titoli. Ma un  elemento che rende comunque questo libro di grande interesse e per certi versi unico è la presenza di interviste e dichiarazioni di un elevato numero di attori e artisti che hanno avuto il piacere e l’onore di conoscere e collaborare con Cushing. Il ritratto che emerge dai loro ricordi conferma l’impressione di una persona retta, appassionata del proprio lavoro, scevra dai personalismi ed egoismi spesso tipici delle persone di spettacolo, un artista a tutto tondo (la sua abilità nel disegno e in altri campi dell’arte viene sottolineata) che non ha preso come una condanna l’essere in qualche misura relegato per diversi anni nel recinto del cinema horror, ma ne ha tratto la possibilità di esprimere le proprie qualità senza fare differenze se si trattava di recitare Shakespeare o un copione di Jimmy Sangster.

Basterebbe questo per rendere il libro una lettura indispensabile per chiunque apprezzi il cinema e Cushing, ma il libro è anche una disamina  scorrevole e completa della carriera dell’attore dalle prime esperienze teatrali al famoso salto a Hollywood (con la partecipazione tra l’altro a Noi siamo le colonne con Laurel & Hardy, una collaborazione di cui Cushing è sempre stato orgoglioso e che ha sempre ricordato con grande affetto e stima per i due comici), dalla popolarità ottenuta con la televisione britannica (con un memorabile ruolo da protagonista nel per allora sconvolgente adattamento dell’orwelliano 1984) ai fasti della Hammer e via via tutto il resto, Guerre stellari compreso sino a terminare con il suo ultimo lavoro, il commento, assieme al grande amico Christopher Lee, per il documentario sulla Hammer Flesh and Blood - The Hammer Heritage of Horror, pochi giorni prima di morire. Le parole del regista di quel documentario, Ted Newsom, riportate nel libro, danno il senso dell’operazione e la giusta soddisfazione che ha provato nell’essere riuscito a dare ai due amici l’opportunità di rivedersi, di passare delle ore felici insieme e di collaborare l’ultima volta, al di là di qualunque riserva si possa avere sulla qualità effettiva del documentario stesso (comunque molto interessante, a mio parere, e da vedere).

A livello strettamente di critica cinematografica il libro non è molto approfondito, ma non era questo lo scopo dell’autore. Quello che conta è il ritratto di Cushing e questo emerge potente e interessante, anche nella scelta, criticata da qualcuno, di non operare eccessivi tagli alle dichiarazioni dei vari intervistati con le ripetizioni (nei ricordi) che inevitabilmente ne sono derivate (molti hanno ricordato i famosi guanti bianchi antinicotina o il suo amore per la moglie Helen). Non l’ho trovato un difetto, ma semmai il rafforzamento di un’impressione.

Questo è stato anche, lo dico a margine, il primo libro che ho letto su un e-reader. L’esperienza è stata positiva, anche tenuto conto del prezzo molto basso del libro con questo formato.


Ancora a margine, mi pare opportuno precisare che il libro è in inglese.

domenica 28 dicembre 2014

Flani (18) - Il terrore viene dalla pioggia

C'è stato un periodo - un periodo durato anni e anni - in cui l'arrivo dell'estate portava sempre buone nuove per gli amanti dell'horror. Infatti, la stagione morta dell'esercizio italiano si popolava di film dell'orrore della più varia provenienza che invece generalmente faticavano a trovare posto nei mesi più lucrosi.

Generalmente si trattava di prime visioni che era possibile vedere in cinema opportunamente semivuoti: la situazione ideale per vedere un horror. La cosa mi è recentemente successa per un horror di adesso - ero il solo spettatore - ed è stato come vederlo nel salotto di casa, ma con condizioni audio/video migliori.

Il terrore viene dalla pioggia - il flano risale all'agosto 1973 - lo vidi invece in un cinema (il cinema Corso, che naturalmente non c'è più da molti anni) relativamente gremito. Il film ebbe infatti un discreto successo: capitava anche allora che ci fossero i cosiddetti sleeper, quei film su cui non si puntava, ma che per le loro qualità emergevano in qualche misura coaugulando interesse e generando discreti incassi. Lo stesso sarebbe successo, per citarne uno, per Horror Express. E cito Horror Express perché interpretato dalla stessa grande coppia di Il terrore viene dalla pioggia: Christopher Lee e Peter Cushing. Potevi star certo: se c'erano loro due (o anche uno solo di loro), valeva sempre la pena di vedere un film (anche solo per vedere loro, naturalmente).

Il terrore viene dalla pioggia - di cui parlo ovviamente nel mio Dizionario dei film horror a cui rimando per maggiori dettagli - è un film che vi consiglio assolutamente di vedere, se vi capita. E se non vi capita, cercatelo. Il regista è Freddie Francis: non sarà come Terence Fisher, ma quando azzeccava il film era un grande. E in Il terrore viene dalla pioggia non ha sbagliato quasi niente. Per cui, in segno di ammirazione, doppio flano.

martedì 17 giugno 2014

Le origini del male

La gloriosa Hammer è da qualche anno tornata a produrre film rinverdendo un passato glorioso e ricco di successi. Chi ricorda i film con Peter Cushing, Christopher Lee e tutte le altre icone del cinema hammeriano farà un po' fatica a ricollegare quel cinema a quello prodotto adesso dalla casa britannica, ma qualche elemento di continuità c'è e del resto i tempi sono cambiati e fare quello che si faceva una volta non sarebbe più possibile, se non altro perché Peter Cushing e Terence Fisher non ci sono più (Christopher Lee, invece, fortunatamente c'è ancora e difatti ha di nuovo collaborato con la Hammer per il film The Resident nel 2011).

Un importante elemento di continuità (anche se per la verità la Hammer che fu si distinse per l'estrema varietà dei generi affrontati) è che la Hammer produce film horror anche adesso. Tra questi, è in uscita in Italia Le origini del male (in originale The Quiet Ones) di John Pogue. Chi vuole leggere cosa ne penso, può leggere la mia recensione su MYmovies a questo link. Il tema, non nuovissimo ma sempre affascinante, è una ricerca sul paranormale compiuta attraverso un esperimento scientifico.

Qui sopra un'immagine dal film con Jared (figlio di Richard) Harris e Olivia Cooke.

giovedì 26 aprile 2012

Il Dizionario dei film horror e Ghost Story

Tra i film del passato recuperati e inseriti nella seconda edizione del mio Dizionario dei film horror (Corte del Fontego) - dell’argomento ho parlato qui - vorrei soffermarmi un momento su uno dei più elusivi, diretto da un regista la cui carriera è tutto fuorché lineare o prolifica.

Ghost Story, inedito in Italia, è uscito nel 1974, in un’epoca in cui l’horror britannico, cui appartiene produttivamente pur essendo stato girato in India (che funge da Inghilterra), era in fase calante, diretto verso una dissoluzione che presto sarebbe stata pressoché totale. Il regista è Stephen Weeks, all’epoca giovane e promettente (è del 1948): aveva esordito pochi anni prima con La vera storia del dottor Jekyll (anch’esso naturalmente compreso nel Dizionario, già dalla prima edizione), ennesima trasposizione cinematografica del romanzo breve di Stevenson. Un film non privo di pregi (e impreziosito da una grande interpretazione di Christopher Lee nel ruolo principale, oltre che da un sempre ottimo Peter Cushing in un ruolo di supporto), ma sostanzialmente irrisolto a causa degli insanabili contrasti tra Weeks e la produzione (la Amicus, la casa famosa per gli horror a episodi).

Autore assolutamente ostile all’omologazione, Weeks non ha avuto vita facile. Si era fatto notare soprattutto con il cortometraggio 1917 (1970), per il quale aveva avuto il supporto del mitico Tony Tenser (di Tenser ho parlato qui), ma dopo le vicissitudine di La vera storia del dottor Jekyll e quelle, non inferiori, di Gawain and the Green Knight (1973), aveva puntato tutto su Ghost Story, un horror del tutto atipico, appartenente a una tipologia sostanzialmente inesistente. Del film - che recupera in modo singolare la tradizione britannica delle storie di fantasmi - ho già scritto sul Dizionario, a cui rimando. Segnalo però la presenza di Marianne Faithfull - allora appena uscita dalla fase di icona rock e in un periodo assai problematico della sua vita.

È comunque da sottolineare che, dopo essere vissuto nel limbo per decenni, il film è da un paio d’ani disponibile, per il mercato inglese, in una ricca versione in doppio dvd (Nucleus Films) con parecchi extra interessanti: commento audio con Stephen Weeks, un documentario sul film di ben 72’, sequenze alternative e sette cortometraggi di Weeks tra cui, appunto, il celebrato 1917. Da non perdere.

Successivamente, Weeks ha diretto solo un altro film - Sword of the Valiant con Sean Connery, una sorta di remake di Gawain and the Green Knight - per poi dedicarsi ad altro che non aveva niente a che fare con il cinema, com’è avvenuto a un altro grande dell’horror inglese, Pete Walker.

venerdì 15 ottobre 2010

Beasts in the Cellar di John Hamilton


Tony Tenser (1920-2007) è stato un personaggio chiave del cinema inglese di genere. Uomo d’affari molto attento al lato economico, ma appassionato di cinema, ha saputo coniugare entrambi questi aspetti con una fertile attività produttiva che ha lasciato il segno.

Il libro
Beasts in the Cellar - The Exploitation Film Career of Tony Tenser (FAB Press) di John Hamilton pubblicato nel 2005 ne traccia la vicenda lavorativa in modo esemplare, condensandola in 304 pagine di grande formato riccamente illustrate (in bianco e nero nel testo, più un consistente inserto fuori testo a colori), tracciando contemporaneamente, com’era inevitabile, una vivida parabola dell’industria cinematografica britannica del periodo e dando ancora una volta un esempio di come si possono e si dovrebbero fare i libri sul cinema. La casa editrice è la FAB Press, che della qualità ha fatto una sua prerogativa sin dai tempi della memorabile rivista Flesh and Blood (dal cui acronimo viene il nome della casa editrice).

Tenser ha legato principalmente il suo nome a due case di produzione che ha contribuito a fondare: la Compton Films (assieme a Michael Klinger) e la ben nota Tigon, il cui emblema era appunto uno strano animale metà tigre e metà leone). Per far comprendere la sua importanza, basta ricordare che la Compton è la casa che ha permesso a Roman Polanski di sfondare nel cinema occidentale con
Repulsion e Cul-de-sac. Ma sono targati Compton anche alcuni horror di un certo interesse: La morte nera e Laser X: Operazione uomo.

La Tigon ha avuto vita più lunga e variegata, ma si è distinta in particolare nell’horror. Tenser si era molto legato alla giovane promessa del cinema inglese, Michael Reeves, producendogli
Il killer di Satana (curiosamente, nello staff tecnico c’era anche, a dare una mano, nientemeno che Raquel Welch) e Il grande inquisitore: il secondo è tuttora considerato uno dei migliori horror di sempre. Altri erano in cantiere, ma Reeves morì giovanissimo ad appena 25 anni per un’accidentale overdose di barbiturici, mettendo fine a una carriera di cui si possono solo immaginare i possibili esiti.

Con la Tigon, Tenser ha prodotto horror di vari tipi con risultati assai diversi. Qualche titolo può aiutare a identificare la linea della casa:
Il mostro di sangue con Peter Cushing, Il buio di Michael Armstrong, Black Horror - Le messe nere con il trio Karloff-Lee-Steele, il dirompente (per l’epoca) La pelle di Satana con Linda Hayden, lo zombie-romance Né mare né sabbia. Uno degli ultimi è stato il complesso e affascinante Il terrore viene dalla pioggia, un film fuori tempo diretto da Freddie Francis e interpretato da Peter Cushing e Christopher Lee (ma a brillare è anche Lorna Heilbron).

Tenser ha anche prodotto
1917, il cortometraggio di esordio di un altro all’epoca giovanissimo regista: Stephen Weeks, la cui carriera (o non carriera) è stata comunque unica. Su di lui credo che tornerò in un prossimo post.

La Tigon è stata comunque una casa che agiva ad ampio raggio e per fare solo un esempio ha anche prodotto il curioso western di Burt Kennedy,
La texana e i fratelli penitenza con Raquel Welch.

Significativamente, l’ultimo credit di Tony Tenser è stato un horror giunto agli sgoccioli della stagione dell’horror britannico:
Nero criminale - Le belve sono tra noi di Pete Walker, un film epocale per un’epoca che non c’era più.

Ricco e tranquillo, Tenser si è poi dedicato con successo alla compravendita di immobili e, una volta in pensione, al golf, sorprendendosi che i suoi film fossero ancora ricordati.

Il libro è in inglese, of course.

venerdì 7 maggio 2010

Hammer Films: Icons of Suspense


Generalmente non recensisco dvd in questo blog, ma, come si dice a Roma, quando ce vo’ ce vo’ (andrà scritto veramente così? chissà).

Rispetto a qualche tempo fa, il mercato dei dvd è ultimamente più avaro del genere di uscite che mi interessa (meglio così, sotto certi aspetti, sia per motivi finanziari sia di spazio), ma qualcosa di veramente notevole ogni tanto esce. Un appassionato della Hammer come me, infatti, non può che vedere di buon occhio la serie Icons of... che è stata pubblicata negli ultimi mesi. E se Icons of Horror (uscita anche da noi, anche se in formato editoriale diverso da quello americano) pescava tra film tutto sommato noti anche se sempre benvenuti, Icons of Adventure, dedicato ai film di pirati e d’avventura della Hammer, già andava a frugare tra pellicole ormai dimenticate dai più.

Il meglio però doveva ancora arrivare (ed è arrivato, altrimenti non sarei qua a scriverne) e si è materializzato, da pochissimo, in Icons of Suspense che raccoglie sei film prodotti dalla Hammer nei suoi anni più gloriosi, dal 1958 al 1963. Si tratta però di film che non si vedevano da tempo (alcuni non si sono mai visti, almeno in Italia), piccoli thriller interessanti e malevoli con l’eccezione di The Damned (da noi Hallucination), unico film diretto dal grande Joseph Losey per la Hammer e appartenente di diritto alla fantascienza.

Come chiunque sa, la Hammer, oltre che per i suoi gotici, è molto nota anche per la sua lunga serie di psycho-thriller prodotti sulla scia di Psyco. Ma in questa collezione non si va sull’ovvio e, quindi, non ci sono quei film, tranne uno: Maniac, quello meno reperibile (in italiano, con grande fedeltà di traduzione o a scelta grande mancanza di fantasia, è stato intitolato Il maniaco).

Il meglio però sono i film più rari. Uno di questi è Never Take Candy from a Stranger, che all’epoca ebbe grossi problemi con la censura britannica perché trattava - stigmatizzandolo ovviamente e fortemente - di un caso di pedofilia. Da noi si chiamava, pensate un po’, Corruzione a Jamestown.

The Snorkel (da noi Delitto in tuta nera) è un giallo piuttosto modesto, che girava per le nostre Tv private nei primi anni ’80 ma è da tempo scomparso (credo) dalla vista. Peter Van Eyck si fa sempre comunque apprezzare.

Cash on Demand è invece un ottimo thriller con Peter Cushing, diretto da Quentin Lawrence (I mostri delle rocce atomiche): anche questo è una rarità che ci permette di vedere una prova sopraffina del grande attore inglese affiancato da un ottimo André Morell (al suo fianco in alcuni Hammer horror).

Stop Me Before I KIll! (noto soprattutto come The Full Treatment) è un’altra chicca: un thriller firmato da Val Guest (ottimo regista attivo in generi diversissimi dal thriller, al bellico, all’erotico, all’horror, alla fantascienza e così via). Anche questo è un film di cui si erano perse le tracce e le si ritrova con piacere.

Tutti i film sono in bianco e nero e la confezione è spartana e priva di extra (a parte i trailer, comunque interessanti), ma il prezzo modesto e l’unicità dei film raccolti rende un assoluto must questa collezione, edita dalla Sony (il titolo completo è The Icons of Suspense Collection: Hammer Films).

Ovviamente è in inglese ed è in regione 1, ma ci sono i sottotitoli (in inglese).

giovedì 15 aprile 2010

Horror Frames: Dead Snow


Ancora una piccola segnalazione di servizio per gli interessati: stavolta la mia rubrica Horror Frames su MyMovies si occupa di nazisti in chiave horror, con particolare riferimento al film norvegese Dead Snow di Tommy Wirkola, che recupera la particolare tradizione dei nazi-zombie, risalente ai tempi di L'occhio nel triangolo (valorizzato dalla presenza di Peter Cushing). Chi vuole leggere l'Horror Frames in questione non ha che da andare qui.

Nella foto qui sopra, un'immagine dal film (ci può essere una frase più inutile di questa?).

martedì 19 gennaio 2010

Greasepaint and Gore - The Hammer Monsters of Roy Ashton


Roy Ashton (1909-1995) è stato il responsabile del trucco della Hammer negli anni di maggior successo (grosso modo dal ‘58 al ‘66), prendendo il testimone da Phil Leakey (1908-1992), che per primo se n’era occupato agli esordi nell’horror della casa britannica. Assistente di Leakey in Dracula il vampiro, Ashton ha cominciato a emergere con La mummia, per il quale ha ideato l’efficacissimo make-up del “mostro” omonimo, interpretato da Christopher Lee.

Greasepaint and Gore - The Hammer Monsters of Roy Ashton è un libro che gli rende omaggio, scritto da Bruce Sachs e Russell Wall e pubblicato dall’inglese Tomahawk Press. Composto dalla precisa giustapposizione di scritti, principalmente di Ashton stesso, e dichiarazioni della moglie e di attori, produttori e registi che con Ashton hanno lavorato, il volume è altamente raccomandabile sia perché tratta un argomento - il make-up cinematografico - poco affrontato sia perché è fatto molto bene, basandosi su fonti dirette e originali.

Ashton si dilunga a raccontare non solo di sé e dell’industria cinematografica britannica - nella quale, proveniente dall’Australia, è entrato negli anni '30 - ma anche del modo in cui ha realizzato i suoi make-up, entrando spesso nei dettagli tecnici, affascinanti per il lettore occasionale e utili per chi volesse imparare qualcosa di pratico. Non si sa mai, saper trasformare qualcuno in una mummia o in Mr. Hyde può sempre tornare utile. La parte iconografica è imponente: molte rare fotografie e, soprattutto, moltissimi disegni preparatori di Ashton, pubblicati per la prima volta.

La mummia, il licantropo di L’implacabile condanna, gli zombie di La lunga notte dell’orrore, la donna rettile di La morte arriva strisciando, i vampiri di Il mistero del castello e molti altri emergono così non solo nelle realizzazioni finali, ma anche negli studi che a quelle hanno portato.

Non mancano i retroscena curiosi e a volte un po’ amari, soprattutto riguardanti i casi in cui i trucchi non sono venuti bene come Ashton avrebbe desiderato e la colpa del risultato finale è stata erroneamente attribuita a lui anziché alla produzione che aveva voluto soluzioni diverse. Esempi in questo senso sono Il fantasma dell’Opera e soprattutto Lo sguardo che uccide, la cui Gorgone finale - oggetto di grasse risate al suo apparire sugli schermi di tutto il mondo - avrebbe dovuto, nelle intenzioni di Ashton, essere del tutto diversa (e di fatto non è stato lui a occuparsi dei terribili serpenti). Ma, come rileva lo stesso Ashton, un truccatore, anche se magari ha delle idee diverse e migliori, è tenuto a dare ciò che la produzione richiede.

Fatto poco noto è poi che Ashton è stato anche cantante lirico professionista per vari anni e che sarebbe stata quella la sua occupazione preferita: per consolarsi ingaggiava lussureggianti duelli canori, al trucco, con Christopher Lee, altro appassionato melomane. Proprio con Lee e Peter Cushing si era sviluppata una cordiale amicizia, cosa rara, viene rilevato, perché di solito gli attori - divi per eccellenza - non familiarizzano con i truccatori.

Un elemento di riflessione è che sia Leakey sia Ashton hanno finito con l’abbandonare la Hammer per motivi economici, per lo scarso riscontro concreto (e non solo) che la produzione dava alla loro opera. Niente di nuovo sotto il sole o, se preferite un altro luogo comune, tutto il mondo è paese.

L’introduzione è del grande Peter Cushing. 168 pagine, grande formato, edizione impeccabile, in parte (piccola) a colori: da leggere e da avere (non necessariamente in quest'ordine), è il ritratto di un grande maestro e un ulteriore importante tassello della storia della Hammer. D’accordo, è in inglese, ma foto e illustrazioni valgono da soli il prezzo.

Oggi, con gli effetti speciali digitali, l'importanza del make-up sembra essere diminuita, ma la fisicità del trucco "vero" mantiene secondo me un fascino che spesso il digitale - talvolta troppo cartoonesco - non ha.