Ci sono attori e attrici la cui presenza in un film è già motivo sufficiente per vederlo. Sono quelli che caratterizzano i film in cui recitano e hanno una personalità tale da catalizzare da soli l’interesse degli spettatori. È una cosa che va al di là della singola interpretazione e riguarda tutta l’opera di quel determinato attore o attrice. Ciascuno ha i suoi. Humphrey Bogart, per esempio, lo vedrei (e l’ho visto) in qualsiasi film. Anche perché generalmente, proprio per il tipo di ruoli che sceglieva e i film che sceglieva di fare, faceva comunque film che mi interessavano. Ma se dovessi scegliere un attore per me significativo sotto questo profilo, quell’attore sarebbe Peter Cushing, che per questo penso di poter definire come il mio attore preferito. Molti anni fa, quando ancora i suoi film uscivano al cinema, già sapevo, vedendo il suo nome nel cast, che avrei visto quel film volentieri. Scoprire un po’ alla volta nel corso degli anni che non era solo un grande attore, ma anche una persona squisita al punto da essere denominato il Gentle Man dell’horror è stato un piacere ulteriore: non ho fatto purtroppo avuto il piacere di conoscerlo persona perché, ignaro dei fatti (e cioè che era molto disponibile e gentile con gli ammiratori) in un’epoca in cui internet e le sue informazioni non esistevano, non sono andato a trovarlo nella piccola cittadina di Whitstable dove viveva (ci sono andato pochi anni dopo la sua morte e ho visto la famosa Cushing’s View, ma ormai era troppo tardi).
Ci sono libri e libri sulla Hammer, sull’horror britannico e su Peter Cushing in particolare. Posso citare a questo riguardo almeno l’ottimo The Peter Cushing Companion di David Miller e, restando in campo italiano, il prezioso Peter & Chris - I dioscuri della notte di Franco Pezzini e Angelica Tintori che si occupa della collaborazione tra Cushing e il suo fratello d’arte Christopher Lee. E ci sono naturalmente i due libri autobiografici dello stesso Cushing, una lettura che consiglio a chiunque conosca l’inglese (purtroppo nessuno ha ancora pensato di pubblicarli nel nostro paese, cosa che del resto si può dire anche dell’altrettanto interessante autobiografia di Christopher Lee).
In All Sincerity, Peter Cushing di Christopher Gullo (il titolo del libro riprende la frase con cui Cushing amava chiudere le sue lettere) si inserisce (anzi, si è inserito da tempo risalendo, come prima pubblicazione, al 2004) in un contesto non certo privo di titoli. Ma un elemento che rende comunque questo libro di grande interesse e per certi versi unico è la presenza di interviste e dichiarazioni di un elevato numero di attori e artisti che hanno avuto il piacere e l’onore di conoscere e collaborare con Cushing. Il ritratto che emerge dai loro ricordi conferma l’impressione di una persona retta, appassionata del proprio lavoro, scevra dai personalismi ed egoismi spesso tipici delle persone di spettacolo, un artista a tutto tondo (la sua abilità nel disegno e in altri campi dell’arte viene sottolineata) che non ha preso come una condanna l’essere in qualche misura relegato per diversi anni nel recinto del cinema horror, ma ne ha tratto la possibilità di esprimere le proprie qualità senza fare differenze se si trattava di recitare Shakespeare o un copione di Jimmy Sangster.
Basterebbe questo per rendere il libro una lettura indispensabile per chiunque apprezzi il cinema e Cushing, ma il libro è anche una disamina scorrevole e completa della carriera dell’attore dalle prime esperienze teatrali al famoso salto a Hollywood (con la partecipazione tra l’altro a Noi siamo le colonne con Laurel & Hardy, una collaborazione di cui Cushing è sempre stato orgoglioso e che ha sempre ricordato con grande affetto e stima per i due comici), dalla popolarità ottenuta con la televisione britannica (con un memorabile ruolo da protagonista nel per allora sconvolgente adattamento dell’orwelliano 1984) ai fasti della Hammer e via via tutto il resto, Guerre stellari compreso sino a terminare con il suo ultimo lavoro, il commento, assieme al grande amico Christopher Lee, per il documentario sulla Hammer Flesh and Blood - The Hammer Heritage of Horror, pochi giorni prima di morire. Le parole del regista di quel documentario, Ted Newsom, riportate nel libro, danno il senso dell’operazione e la giusta soddisfazione che ha provato nell’essere riuscito a dare ai due amici l’opportunità di rivedersi, di passare delle ore felici insieme e di collaborare l’ultima volta, al di là di qualunque riserva si possa avere sulla qualità effettiva del documentario stesso (comunque molto interessante, a mio parere, e da vedere).
A livello strettamente di critica cinematografica il libro non è molto approfondito, ma non era questo lo scopo dell’autore. Quello che conta è il ritratto di Cushing e questo emerge potente e interessante, anche nella scelta, criticata da qualcuno, di non operare eccessivi tagli alle dichiarazioni dei vari intervistati con le ripetizioni (nei ricordi) che inevitabilmente ne sono derivate (molti hanno ricordato i famosi guanti bianchi antinicotina o il suo amore per la moglie Helen). Non l’ho trovato un difetto, ma semmai il rafforzamento di un’impressione.
Questo è stato anche, lo dico a margine, il primo libro che ho letto su un e-reader. L’esperienza è stata positiva, anche tenuto conto del prezzo molto basso del libro con questo formato.
Ancora a margine, mi pare opportuno precisare che il libro è in inglese.
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domenica 10 maggio 2015
lunedì 13 ottobre 2014
No Good Deed
I thriller con gli assassini suonati e seriali sono sempre di moda, per così dire. O almeno continuano a farsene. Se poi si traducono nell'invasione di una casa abitata da una donna apparentemente indifesa non fanno che rimpolpare un sottogenere nel sottogenere. Se infine vi è di mezzo la richiesta di una telefonata per chiamare il carro attrezzi state pur certi che la sensazione di déjà vu sarà fortissima (ma per vedere come una situazione del genere possa comunque essere condotta con arguzia e possa suscitare notevole tensione consiglio la visione di Lo sconosciuto alla porta, un vecchio film di Fred Walton, che poi non era altro che il seguito del suo film più famoso, quello sì un prototipo sotto molti aspetti).
Comunque, tutto questo per dire che ne sta per uscire un altro: si tratta di No Good Deed di Sam Miller e se vi interessa leggere la mia recensione, basta che andiate qui, sul sito di MYmovies. Lo interpretano Idris Elba e Taraji P. Henson, ma quella che vedete qui sopra è Kate del Castillo, che ha un ruolo di supporto.
Sam Miller ha un curriculum soprattutto televisivo, ma mi ha incuriosito vedere che ha diretto, sempre per il piccolo schermo, una relativamente recente di The Quatermass Experiment, quel super classico del fantahorror scritto dal grande Nigel Kneale che venne prodotto per la tv inglese nel 1953 e poi adattato per il grande schermo dalla Hammer (qui da noi fu intitolato L'astronave atomica del dottor Quatermass) che proprio con quel film iniziò la sua leggendaria parabola nel genere horror.
Comunque, tutto questo per dire che ne sta per uscire un altro: si tratta di No Good Deed di Sam Miller e se vi interessa leggere la mia recensione, basta che andiate qui, sul sito di MYmovies. Lo interpretano Idris Elba e Taraji P. Henson, ma quella che vedete qui sopra è Kate del Castillo, che ha un ruolo di supporto.
Sam Miller ha un curriculum soprattutto televisivo, ma mi ha incuriosito vedere che ha diretto, sempre per il piccolo schermo, una relativamente recente di The Quatermass Experiment, quel super classico del fantahorror scritto dal grande Nigel Kneale che venne prodotto per la tv inglese nel 1953 e poi adattato per il grande schermo dalla Hammer (qui da noi fu intitolato L'astronave atomica del dottor Quatermass) che proprio con quel film iniziò la sua leggendaria parabola nel genere horror.
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martedì 17 giugno 2014
Le origini del male
La gloriosa Hammer è da qualche anno tornata a produrre film rinverdendo un passato glorioso e ricco di successi. Chi ricorda i film con Peter Cushing, Christopher Lee e tutte le altre icone del cinema hammeriano farà un po' fatica a ricollegare quel cinema a quello prodotto adesso dalla casa britannica, ma qualche elemento di continuità c'è e del resto i tempi sono cambiati e fare quello che si faceva una volta non sarebbe più possibile, se non altro perché Peter Cushing e Terence Fisher non ci sono più (Christopher Lee, invece, fortunatamente c'è ancora e difatti ha di nuovo collaborato con la Hammer per il film The Resident nel 2011).
Un importante elemento di continuità (anche se per la verità la Hammer che fu si distinse per l'estrema varietà dei generi affrontati) è che la Hammer produce film horror anche adesso. Tra questi, è in uscita in Italia Le origini del male (in originale The Quiet Ones) di John Pogue. Chi vuole leggere cosa ne penso, può leggere la mia recensione su MYmovies a questo link. Il tema, non nuovissimo ma sempre affascinante, è una ricerca sul paranormale compiuta attraverso un esperimento scientifico.
Qui sopra un'immagine dal film con Jared (figlio di Richard) Harris e Olivia Cooke.
Un importante elemento di continuità (anche se per la verità la Hammer che fu si distinse per l'estrema varietà dei generi affrontati) è che la Hammer produce film horror anche adesso. Tra questi, è in uscita in Italia Le origini del male (in originale The Quiet Ones) di John Pogue. Chi vuole leggere cosa ne penso, può leggere la mia recensione su MYmovies a questo link. Il tema, non nuovissimo ma sempre affascinante, è una ricerca sul paranormale compiuta attraverso un esperimento scientifico.
Qui sopra un'immagine dal film con Jared (figlio di Richard) Harris e Olivia Cooke.
sabato 27 agosto 2011
Jimmy Sangster (1927-2011)

Nell’ultimo post, del tutto casualmente, parlavo della Hammer e oggi torno a parlarne per commemorare uno dei suoi esponenti più brillanti e decisivi, lo sceneggiatore, produttore e regista Jimmy Sangster, morto il 19 agosto scorso a 83 anni d’età (era nato il 2 dicembre 1927).
Il sarcasmo, il brillante umorismo, la capacità di trovare chiavi di lettura innovative in materiale consunto sono solo alcune delle qualità che rendono così valido il lavoro come sceneggiatore di Sangster nei primo horror della Hammer. La maschera di Frankenstein è tipica in questo senso e il ritratto complesso e articolato che Sangster fa del Barone, aiutato in questo dall’eccellente interpretazione di Peter Cushing, parla da solo. La vendetta di Frankenstein avrebbe portato alla perfezione questo insieme di umorismo nero e orrore, aggiungendovi un pathos melodrammatico tale da arricchire la tenuta e la presa della storia. Ma Sangster era anche capace di produrre copioni stringati che andavano dritti al cuore della storia, senza dilungarsi in divagazioni e scevri da quell’umorismo che pure gli era evidentemente tanto caro: Dracula il vampiro, insuperata versione del romanzo di Bram Stoker, pur con tutte le libertà che Sangster si era dovuto prendere rispetto alla fonte, è un esempio più che probante. Tutto ciò tenendo presente che Sangster non provava un particolare interesse per l’orrore gotico, essendo più orientato verso lo psycho-thriller e i meccanismi del giallo, un genere che avrebbe molto praticato anche come romanziere.
Infatti, una volta consolidata la sua posizione come sceneggiatore principe della Hammer, ne aveva approfittato per dare il via a una serie di psycho-thriller di stile hitchockiano (ma tendenzialmente un po’ più macabri e perversi) a partire con il sottile e raffinato La casa del terrore diretto da Seth Holt (un autore da riscoprire, per chi non lo conosce): sarebbero poi seguiti diversi altri titoli di questo genere, come Il rifugio dei dannati, Il maniaco, L’incubo di Janet Lind, Hysteria e il notevole Nanny la governante con un cast fantastico capitanato da Bette Davis e con Jill Bennett e Pamela Franklin in evidenza (anche la regia di quest’ultimo film è di Seth Holt).
Per quanto il distacco e la modestia lo portassero a sottovalutare con ironia il proprio apporto al genere, l'horror gli deve molto per la sua capacità di svecchiare le convenzioni e di formularne di nuove: in quei pochi anni a cavallo tra la fine degli anni '50 e l'inizio dei '60, Sangster è stato capace di osare l'inosabile e di farlo con una levità e una brillantezza che lasciano capire come il suo talento fosse del tutto naturale, sbocciato dopo una dura gavetta che l'aveva visto partire sedicenne dai gradini più bassi della scala gerarchica dell'industria cinematografica. Uno degli ultimi testimoni di un'epoca se n'è andato, ma, naturalmente, restano le sue opere.
Il passaggio alla regia sarebbe stato più problematico. Il tentativo di Gli orrori di Frankenstein è chiaro: realizzare una commedia nerissima. Il risultato ha alcuni momenti decisamente divertenti, ma l’insieme manca di una focalizzazione precisa degli intenti. Mircalla l’amante immortale è un altro tentativo sostanzialmente fallito di abbinare horror ed erotismo, mentre Paura nella notte è forse il suo film più riuscito, anche se non necessariamente il più brillante.
Dopo aver lasciato la Hammer, Sangster ha avuto una lunga carriera spaziando per vari generi e mettendo decisamente in secondo piano l’horror, che però ha toccato ancora, come nel peraltro non troppo riuscito (ma non per colpa sua), Il testamento.
La brillantezza di scrittura, l’ironia e l’inventiva di Sangster permeano anche il suo spassoso e acuto libro di memorie, Do You Want It Good or Tuesday? (il cui titolo suona familiare a chiunque abbia dovuto lavorare nel campo dell’intrattenimento o dell’editoria popolare), che consiglio di leggere. Ne ha scritto anche un altro, Inside Hammer, più specificamente dedicato ai suoi tempi alla Hammer, ma non sono mai riuscito a trovarlo, purtroppo.
martedì 23 agosto 2011
Wake Wood

Il nome Hammer richiama subito molte cose alla memoria di chi sia interessato anche solo mareginalmente al cinema horror: la casa di produzione britannica è stata infatti responsabile della rinascita del genere in un momento - la seconda metà degli anni '50 - in cui sembrava essere stato definitivamente soppiantato dalla fantascienza e destinato a una marginalità ancora più estrema del consueto, tra film di routine e commedie spesso poco divertenti. L'astronave atomica del dottor Quatermass e, soprattutto, La maschera di Frankenstein avrebbero cambiato del tutto il panorama e dato vita a un ciclo ricco di pellicole interessanti, frutto di un approccio del tutto nuovo. Dopo anni di successi, nella seconda metà degli anni '70 la Hammer aveva cessato di produrre film per il grande schermo ed era poco a poco entrata in una sorta di coma produttivo: era ancora viva, ma non faceva praticamente niente. Dopo molti annunci e tentativi, recentemente la gloriosa casa produttrice è tornata in azione, tra l'altro con Let Me In, il remake del famoso horror svedese Lasciami entrare.
Ma ha prodotto, soprattutto, Wake Wood di David Keating, che è il film di cui mi sono occupato questa volta nella rubrica Horror Frames che scrivo per MyMovies. Echi da La zampa di scimmia, Zeder e Pet Sematary non impediscono al film di essere interessante, ma in ogni caso chi vuole leggere cosa ne ho scritto deve andare, come al solito, qui.
Qui sopra invece una scena dal film: quella a sinistra è Eva Birthistle, la protagonista del film.
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domenica 30 gennaio 2011
Flani (10): 4 farfalle per un assassino

Un altro piccolo viaggio nel tempo attraverso le pubblicità cinematografiche che allora - siamo nel 1974 - imperversavano massicciamente sui quotidiani. Il film in questione è uno dei meno noti prodotti dalla Hammer in un periodo in cui la casa britannica cercava disperatamente, senza troppo riuscirci, di trovare strade alternative che la rimettessero finanziariamente in carreggiata dopo che il suo filone principe - quello dell’horror gotico - si era consunto.
In questo caso, come in molti altri casi, l’esito commerciale è stato negativo: il film presenta i suoi motivi di interesse e ha nel tempo sviluppato una certa curiosità perché è rimasto a lungo fuori dalla distribuzione home video (adesso c’è un buon dvd nel mercato inglese). Qui da noi, come dimostrano il titolo e i richiami pubblicitari del flano, distributore ed esercenti hanno tentato di enfatizzarne alcuni aspetti per omologarlo al giallo all’italiana che allora dominava. L’uso delle farfalle rientra in questa logica - il titolo originale è Straight On Till Morning - con i richiami al mondo animale. Più divertenti sono gli slogan. Rita Tushingham un’attrice da Oscar: bisognerebbe dirlo ai membri dell’Academy. Buona attrice, la Tushingham aveva già passato da parecchio il suo momento migliore e di certo questo non è tra i suoi film migliori. Peter Collinson un regista della classe di Hitchcock e Argento: quando si dicono le iperboli. Regista a tratti interessante morto prematuramente nel 1980 a soli 44 anni, Collinson ha diretto alcuni film interessanti (Le mele marce in particolare), ma tra lui e Hitchcock c’è di mezzo un oceano cinematografico. “Un giallo-horror alla Edgar Poe, alla Agatha Christie”: slogan disperatissimo, assolutamente privo di senso.
Però c’era l’aria condizionata, un lusso per nulla scontato all’epoca.
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venerdì 7 maggio 2010
Hammer Films: Icons of Suspense

Generalmente non recensisco dvd in questo blog, ma, come si dice a Roma, quando ce vo’ ce vo’ (andrà scritto veramente così? chissà).
Rispetto a qualche tempo fa, il mercato dei dvd è ultimamente più avaro del genere di uscite che mi interessa (meglio così, sotto certi aspetti, sia per motivi finanziari sia di spazio), ma qualcosa di veramente notevole ogni tanto esce. Un appassionato della Hammer come me, infatti, non può che vedere di buon occhio la serie Icons of... che è stata pubblicata negli ultimi mesi. E se Icons of Horror (uscita anche da noi, anche se in formato editoriale diverso da quello americano) pescava tra film tutto sommato noti anche se sempre benvenuti, Icons of Adventure, dedicato ai film di pirati e d’avventura della Hammer, già andava a frugare tra pellicole ormai dimenticate dai più.
Il meglio però doveva ancora arrivare (ed è arrivato, altrimenti non sarei qua a scriverne) e si è materializzato, da pochissimo, in Icons of Suspense che raccoglie sei film prodotti dalla Hammer nei suoi anni più gloriosi, dal 1958 al 1963. Si tratta però di film che non si vedevano da tempo (alcuni non si sono mai visti, almeno in Italia), piccoli thriller interessanti e malevoli con l’eccezione di The Damned (da noi Hallucination), unico film diretto dal grande Joseph Losey per la Hammer e appartenente di diritto alla fantascienza.
Come chiunque sa, la Hammer, oltre che per i suoi gotici, è molto nota anche per la sua lunga serie di psycho-thriller prodotti sulla scia di Psyco. Ma in questa collezione non si va sull’ovvio e, quindi, non ci sono quei film, tranne uno: Maniac, quello meno reperibile (in italiano, con grande fedeltà di traduzione o a scelta grande mancanza di fantasia, è stato intitolato Il maniaco).
Il meglio però sono i film più rari. Uno di questi è Never Take Candy from a Stranger, che all’epoca ebbe grossi problemi con la censura britannica perché trattava - stigmatizzandolo ovviamente e fortemente - di un caso di pedofilia. Da noi si chiamava, pensate un po’, Corruzione a Jamestown.
The Snorkel (da noi Delitto in tuta nera) è un giallo piuttosto modesto, che girava per le nostre Tv private nei primi anni ’80 ma è da tempo scomparso (credo) dalla vista. Peter Van Eyck si fa sempre comunque apprezzare.
Cash on Demand è invece un ottimo thriller con Peter Cushing, diretto da Quentin Lawrence (I mostri delle rocce atomiche): anche questo è una rarità che ci permette di vedere una prova sopraffina del grande attore inglese affiancato da un ottimo André Morell (al suo fianco in alcuni Hammer horror).
Stop Me Before I KIll! (noto soprattutto come The Full Treatment) è un’altra chicca: un thriller firmato da Val Guest (ottimo regista attivo in generi diversissimi dal thriller, al bellico, all’erotico, all’horror, alla fantascienza e così via). Anche questo è un film di cui si erano perse le tracce e le si ritrova con piacere.
Tutti i film sono in bianco e nero e la confezione è spartana e priva di extra (a parte i trailer, comunque interessanti), ma il prezzo modesto e l’unicità dei film raccolti rende un assoluto must questa collezione, edita dalla Sony (il titolo completo è The Icons of Suspense Collection: Hammer Films).
Ovviamente è in inglese ed è in regione 1, ma ci sono i sottotitoli (in inglese).
martedì 19 gennaio 2010
Greasepaint and Gore - The Hammer Monsters of Roy Ashton

Roy Ashton (1909-1995) è stato il responsabile del trucco della Hammer negli anni di maggior successo (grosso modo dal ‘58 al ‘66), prendendo il testimone da Phil Leakey (1908-1992), che per primo se n’era occupato agli esordi nell’horror della casa britannica. Assistente di Leakey in Dracula il vampiro, Ashton ha cominciato a emergere con La mummia, per il quale ha ideato l’efficacissimo make-up del “mostro” omonimo, interpretato da Christopher Lee.
Greasepaint and Gore - The Hammer Monsters of Roy Ashton è un libro che gli rende omaggio, scritto da Bruce Sachs e Russell Wall e pubblicato dall’inglese Tomahawk Press. Composto dalla precisa giustapposizione di scritti, principalmente di Ashton stesso, e dichiarazioni della moglie e di attori, produttori e registi che con Ashton hanno lavorato, il volume è altamente raccomandabile sia perché tratta un argomento - il make-up cinematografico - poco affrontato sia perché è fatto molto bene, basandosi su fonti dirette e originali.
Ashton si dilunga a raccontare non solo di sé e dell’industria cinematografica britannica - nella quale, proveniente dall’Australia, è entrato negli anni '30 - ma anche del modo in cui ha realizzato i suoi make-up, entrando spesso nei dettagli tecnici, affascinanti per il lettore occasionale e utili per chi volesse imparare qualcosa di pratico. Non si sa mai, saper trasformare qualcuno in una mummia o in Mr. Hyde può sempre tornare utile. La parte iconografica è imponente: molte rare fotografie e, soprattutto, moltissimi disegni preparatori di Ashton, pubblicati per la prima volta.
La mummia, il licantropo di L’implacabile condanna, gli zombie di La lunga notte dell’orrore, la donna rettile di La morte arriva strisciando, i vampiri di Il mistero del castello e molti altri emergono così non solo nelle realizzazioni finali, ma anche negli studi che a quelle hanno portato.
Non mancano i retroscena curiosi e a volte un po’ amari, soprattutto riguardanti i casi in cui i trucchi non sono venuti bene come Ashton avrebbe desiderato e la colpa del risultato finale è stata erroneamente attribuita a lui anziché alla produzione che aveva voluto soluzioni diverse. Esempi in questo senso sono Il fantasma dell’Opera e soprattutto Lo sguardo che uccide, la cui Gorgone finale - oggetto di grasse risate al suo apparire sugli schermi di tutto il mondo - avrebbe dovuto, nelle intenzioni di Ashton, essere del tutto diversa (e di fatto non è stato lui a occuparsi dei terribili serpenti). Ma, come rileva lo stesso Ashton, un truccatore, anche se magari ha delle idee diverse e migliori, è tenuto a dare ciò che la produzione richiede.
Fatto poco noto è poi che Ashton è stato anche cantante lirico professionista per vari anni e che sarebbe stata quella la sua occupazione preferita: per consolarsi ingaggiava lussureggianti duelli canori, al trucco, con Christopher Lee, altro appassionato melomane. Proprio con Lee e Peter Cushing si era sviluppata una cordiale amicizia, cosa rara, viene rilevato, perché di solito gli attori - divi per eccellenza - non familiarizzano con i truccatori.
Un elemento di riflessione è che sia Leakey sia Ashton hanno finito con l’abbandonare la Hammer per motivi economici, per lo scarso riscontro concreto (e non solo) che la produzione dava alla loro opera. Niente di nuovo sotto il sole o, se preferite un altro luogo comune, tutto il mondo è paese.
L’introduzione è del grande Peter Cushing. 168 pagine, grande formato, edizione impeccabile, in parte (piccola) a colori: da leggere e da avere (non necessariamente in quest'ordine), è il ritratto di un grande maestro e un ulteriore importante tassello della storia della Hammer. D’accordo, è in inglese, ma foto e illustrazioni valgono da soli il prezzo.
Oggi, con gli effetti speciali digitali, l'importanza del make-up sembra essere diminuita, ma la fisicità del trucco "vero" mantiene secondo me un fascino che spesso il digitale - talvolta troppo cartoonesco - non ha.
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venerdì 8 gennaio 2010
A Heritage of Horror e A New Heritage of Horror

Uno dei pregi meno frequenti in chi scrive di cinema è la semplicità dell’esposizione. Quando poi la semplicità si unisce alla chiarezza, la casistica è ancor meno frequente. Se infine a quelle caratteristiche si unisce l’acutezza critica si arriva alla rarità. Una di queste rarità è A Heritage of Horror, un fondamentale saggio di David Pirie pubblicato nel 1973 da Gordon Fraser e diventato una sorta di totem della critica cinematografica nel campo dell’horror, uno dei libri più citati anche se forse non altrettanto letti.
Quando ero molto giovane e già mi interessavo di film horror - ma questo mi è capitato anche in altri settori di interesse, come i fumetti - non mi bastava che quei film mi piacessero, avrei anche voluto capire perché sentivo di avere ragione se li consideravo importanti e significativi quando tutti i critici che leggevo li consideravano spazzatura o al massimo onesto artigianato. Mi sarebbe cioè potuto trovare un supporto critico articolato e condivisibile che desse corpo al mio giudizio di allora, forzatamente un po’ semplicistico e forse entusiastico.
Comprai subito il libro di Pirie appena uscì perché si occupava dell’horror britannico - con particolare riguardo alla Hammer e a Terence Fisher, che erano per me erano all’epoca riferimenti molto importanti - e perché leggevo con molto interesse le recensioni che Pirie scriveva per il Monthly Film Bulletin, per molto tempo la mia rivista di cinema ideale: recensiva tutto quello che usciva in Gran Bretagna e c’erano praticamente solo recensioni, senza nemmeno una fotografia. Ora è confluita in Sight and Sound, che resta una rivista fondamentale. Entrambe edite dal British Film Institute, con tutto il prestigio conseguente. Nel Monthly Film Bulletin scriveva anche - di solito di B-movies - David McGillivray, futuro sceneggiatore di Pete Walker e altri ancora.
La lettura di A Heritage of Horror è stata per me fondamentale. Con uno stile semplice ma non banale e con ampi riferimenti alla letteratura e al contesto in cui la tradizione horror si inseriva, Pirie tracciava un quadro completo e criticamente stimolante della parabola dell’horror britannico che allora - ma nessuno poteva saperlo con certezza - vicino a una fase di assoluto nadir. Sostanzialmente per primo, Pirie riuscì a enucleare e apprezzare le qualità registiche di Terence Fisher, che per questo gli sarebbe stato molto grato nei suoi ultimi anni di vita. Quando, tre anni dopo, scrissi per Robot un lungo articolo in due puntate su Fisher, sapere l’opinione di Pirie mi fu di notevole conforto.
Chiarezza, semplicità, brillantezza critica, completezza del quadro d’insieme, assoluta assenza di pregiudizi, stile coinvolgente: A Heritage of Horror è un libro unico e decisivo per chi lo legge. Naturalmente, può capitare che uno non sia d’accordo sui singoli giudizi - come per la sbrigativa stroncatura di L’abominevole dr. Phibes - ma questo è tanto inevitabile quanto poco significativo.
Successivamente, Pirie, oltre a scrivere un altro bel libro (The Vampire Cinema), si è dedicato principalmente alla sceneggiatura, non trascurando qualche puntata nell’horror (come Mystery House del 2000, di cui potete trovare la scheda nel Dizionario dei film horror).
Oltre trent’anni dopo gli è però venuta voglia di riprendere in mano quella sua ormai vecchia creatura - ormai rarissima e mai ristampata - e ne ha scritto una nuova edizione intitolata non a caso A New Heritage of Horror (I.B. Tauris, 2008). Una nuova edizione piuttosto particolare perché, oltre all’aggiornamento temporale, è stato in gran parte riscritto anche il resto, alla luce delle nuove informazioni a cui Pirie nel frattempo ha avuto accesso.
Le qualità del primo ci sono ancora tutte e, per quanto non approfondita come quella del periodo d’oro del cinema horror britannico, è interessante anche la parte che aggiorna la storia sino ai nostri giorni. Certo, l’horror britannico oggi è meno centrale nel panorama internazionale, ma qualche nuovo autore - Neil Marshall su tutti - non manca. Ma più interessante è l’aggiornamento di notizie sul periodo d’oro della Hammer e delle case satelliti, soprattutto con riferimento alle tremende battaglie con la severa censura inglese del periodo che portarono tra l’altro all’abbandono del progetto di realizzare Night Creatures, adattamento di Richard Matheson del proprio romanzo Io sono leggenda (e scusate se è poco).
Se siete davvero interessati al cinema horror, leggetelo. La prima edizione è ormai introvabile (io per la verità la trovo facilmente, su uno scaffale a portata di mano). Questa è invece disponibile ed è ancora migliore. Ovviamente, solo in inglese.
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