Ci sono attori e attrici la cui presenza in un film è già motivo sufficiente per vederlo. Sono quelli che caratterizzano i film in cui recitano e hanno una personalità tale da catalizzare da soli l’interesse degli spettatori. È una cosa che va al di là della singola interpretazione e riguarda tutta l’opera di quel determinato attore o attrice. Ciascuno ha i suoi. Humphrey Bogart, per esempio, lo vedrei (e l’ho visto) in qualsiasi film. Anche perché generalmente, proprio per il tipo di ruoli che sceglieva e i film che sceglieva di fare, faceva comunque film che mi interessavano. Ma se dovessi scegliere un attore per me significativo sotto questo profilo, quell’attore sarebbe Peter Cushing, che per questo penso di poter definire come il mio attore preferito. Molti anni fa, quando ancora i suoi film uscivano al cinema, già sapevo, vedendo il suo nome nel cast, che avrei visto quel film volentieri. Scoprire un po’ alla volta nel corso degli anni che non era solo un grande attore, ma anche una persona squisita al punto da essere denominato il Gentle Man dell’horror è stato un piacere ulteriore: non ho fatto purtroppo avuto il piacere di conoscerlo persona perché, ignaro dei fatti (e cioè che era molto disponibile e gentile con gli ammiratori) in un’epoca in cui internet e le sue informazioni non esistevano, non sono andato a trovarlo nella piccola cittadina di Whitstable dove viveva (ci sono andato pochi anni dopo la sua morte e ho visto la famosa Cushing’s View, ma ormai era troppo tardi).
Ci sono libri e libri sulla Hammer, sull’horror britannico e su Peter Cushing in particolare. Posso citare a questo riguardo almeno l’ottimo The Peter Cushing Companion di David Miller e, restando in campo italiano, il prezioso Peter & Chris - I dioscuri della notte di Franco Pezzini e Angelica Tintori che si occupa della collaborazione tra Cushing e il suo fratello d’arte Christopher Lee. E ci sono naturalmente i due libri autobiografici dello stesso Cushing, una lettura che consiglio a chiunque conosca l’inglese (purtroppo nessuno ha ancora pensato di pubblicarli nel nostro paese, cosa che del resto si può dire anche dell’altrettanto interessante autobiografia di Christopher Lee).
In All Sincerity, Peter Cushing di Christopher Gullo (il titolo del libro riprende la frase con cui Cushing amava chiudere le sue lettere) si inserisce (anzi, si è inserito da tempo risalendo, come prima pubblicazione, al 2004) in un contesto non certo privo di titoli. Ma un elemento che rende comunque questo libro di grande interesse e per certi versi unico è la presenza di interviste e dichiarazioni di un elevato numero di attori e artisti che hanno avuto il piacere e l’onore di conoscere e collaborare con Cushing. Il ritratto che emerge dai loro ricordi conferma l’impressione di una persona retta, appassionata del proprio lavoro, scevra dai personalismi ed egoismi spesso tipici delle persone di spettacolo, un artista a tutto tondo (la sua abilità nel disegno e in altri campi dell’arte viene sottolineata) che non ha preso come una condanna l’essere in qualche misura relegato per diversi anni nel recinto del cinema horror, ma ne ha tratto la possibilità di esprimere le proprie qualità senza fare differenze se si trattava di recitare Shakespeare o un copione di Jimmy Sangster.
Basterebbe questo per rendere il libro una lettura indispensabile per chiunque apprezzi il cinema e Cushing, ma il libro è anche una disamina scorrevole e completa della carriera dell’attore dalle prime esperienze teatrali al famoso salto a Hollywood (con la partecipazione tra l’altro a Noi siamo le colonne con Laurel & Hardy, una collaborazione di cui Cushing è sempre stato orgoglioso e che ha sempre ricordato con grande affetto e stima per i due comici), dalla popolarità ottenuta con la televisione britannica (con un memorabile ruolo da protagonista nel per allora sconvolgente adattamento dell’orwelliano 1984) ai fasti della Hammer e via via tutto il resto, Guerre stellari compreso sino a terminare con il suo ultimo lavoro, il commento, assieme al grande amico Christopher Lee, per il documentario sulla Hammer Flesh and Blood - The Hammer Heritage of Horror, pochi giorni prima di morire. Le parole del regista di quel documentario, Ted Newsom, riportate nel libro, danno il senso dell’operazione e la giusta soddisfazione che ha provato nell’essere riuscito a dare ai due amici l’opportunità di rivedersi, di passare delle ore felici insieme e di collaborare l’ultima volta, al di là di qualunque riserva si possa avere sulla qualità effettiva del documentario stesso (comunque molto interessante, a mio parere, e da vedere).
A livello strettamente di critica cinematografica il libro non è molto approfondito, ma non era questo lo scopo dell’autore. Quello che conta è il ritratto di Cushing e questo emerge potente e interessante, anche nella scelta, criticata da qualcuno, di non operare eccessivi tagli alle dichiarazioni dei vari intervistati con le ripetizioni (nei ricordi) che inevitabilmente ne sono derivate (molti hanno ricordato i famosi guanti bianchi antinicotina o il suo amore per la moglie Helen). Non l’ho trovato un difetto, ma semmai il rafforzamento di un’impressione.
Questo è stato anche, lo dico a margine, il primo libro che ho letto su un e-reader. L’esperienza è stata positiva, anche tenuto conto del prezzo molto basso del libro con questo formato.
Ancora a margine, mi pare opportuno precisare che il libro è in inglese.
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domenica 10 maggio 2015
sabato 27 agosto 2011
Jimmy Sangster (1927-2011)

Nell’ultimo post, del tutto casualmente, parlavo della Hammer e oggi torno a parlarne per commemorare uno dei suoi esponenti più brillanti e decisivi, lo sceneggiatore, produttore e regista Jimmy Sangster, morto il 19 agosto scorso a 83 anni d’età (era nato il 2 dicembre 1927).
Il sarcasmo, il brillante umorismo, la capacità di trovare chiavi di lettura innovative in materiale consunto sono solo alcune delle qualità che rendono così valido il lavoro come sceneggiatore di Sangster nei primo horror della Hammer. La maschera di Frankenstein è tipica in questo senso e il ritratto complesso e articolato che Sangster fa del Barone, aiutato in questo dall’eccellente interpretazione di Peter Cushing, parla da solo. La vendetta di Frankenstein avrebbe portato alla perfezione questo insieme di umorismo nero e orrore, aggiungendovi un pathos melodrammatico tale da arricchire la tenuta e la presa della storia. Ma Sangster era anche capace di produrre copioni stringati che andavano dritti al cuore della storia, senza dilungarsi in divagazioni e scevri da quell’umorismo che pure gli era evidentemente tanto caro: Dracula il vampiro, insuperata versione del romanzo di Bram Stoker, pur con tutte le libertà che Sangster si era dovuto prendere rispetto alla fonte, è un esempio più che probante. Tutto ciò tenendo presente che Sangster non provava un particolare interesse per l’orrore gotico, essendo più orientato verso lo psycho-thriller e i meccanismi del giallo, un genere che avrebbe molto praticato anche come romanziere.
Infatti, una volta consolidata la sua posizione come sceneggiatore principe della Hammer, ne aveva approfittato per dare il via a una serie di psycho-thriller di stile hitchockiano (ma tendenzialmente un po’ più macabri e perversi) a partire con il sottile e raffinato La casa del terrore diretto da Seth Holt (un autore da riscoprire, per chi non lo conosce): sarebbero poi seguiti diversi altri titoli di questo genere, come Il rifugio dei dannati, Il maniaco, L’incubo di Janet Lind, Hysteria e il notevole Nanny la governante con un cast fantastico capitanato da Bette Davis e con Jill Bennett e Pamela Franklin in evidenza (anche la regia di quest’ultimo film è di Seth Holt).
Per quanto il distacco e la modestia lo portassero a sottovalutare con ironia il proprio apporto al genere, l'horror gli deve molto per la sua capacità di svecchiare le convenzioni e di formularne di nuove: in quei pochi anni a cavallo tra la fine degli anni '50 e l'inizio dei '60, Sangster è stato capace di osare l'inosabile e di farlo con una levità e una brillantezza che lasciano capire come il suo talento fosse del tutto naturale, sbocciato dopo una dura gavetta che l'aveva visto partire sedicenne dai gradini più bassi della scala gerarchica dell'industria cinematografica. Uno degli ultimi testimoni di un'epoca se n'è andato, ma, naturalmente, restano le sue opere.
Il passaggio alla regia sarebbe stato più problematico. Il tentativo di Gli orrori di Frankenstein è chiaro: realizzare una commedia nerissima. Il risultato ha alcuni momenti decisamente divertenti, ma l’insieme manca di una focalizzazione precisa degli intenti. Mircalla l’amante immortale è un altro tentativo sostanzialmente fallito di abbinare horror ed erotismo, mentre Paura nella notte è forse il suo film più riuscito, anche se non necessariamente il più brillante.
Dopo aver lasciato la Hammer, Sangster ha avuto una lunga carriera spaziando per vari generi e mettendo decisamente in secondo piano l’horror, che però ha toccato ancora, come nel peraltro non troppo riuscito (ma non per colpa sua), Il testamento.
La brillantezza di scrittura, l’ironia e l’inventiva di Sangster permeano anche il suo spassoso e acuto libro di memorie, Do You Want It Good or Tuesday? (il cui titolo suona familiare a chiunque abbia dovuto lavorare nel campo dell’intrattenimento o dell’editoria popolare), che consiglio di leggere. Ne ha scritto anche un altro, Inside Hammer, più specificamente dedicato ai suoi tempi alla Hammer, ma non sono mai riuscito a trovarlo, purtroppo.
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