Come annunciato, ieri, in qualità di componente la giuria del concorso Vampiri a fumetti per fumettisti esordienti, sono stato a Valdagno dove si è svolta la cerimonia di premiazione del concorso, nell'ambito della manifestazione Valdagno che legge organizzata dal Progetto Giovani del Comune di Valdagno.
Tutta questa premessa per arrivare poi a dire, come mi sembra giusto, chi ha vinto il concorso. Si tratta di Tiziana De Piero, con il fumetto Fidanzato vampiro, di cui qui sopra potete vedere un paio di vignette. Il fumetto di Tiziana ha colpito la giuria - della quale facevano parte, oltre a me, il prode Giuliano Piccininno (motore e artefice del premio, nonché insigne fumettista non solo bonelliano con Dampyr e molto altro, ultimamente un ottimo Dracula per il mercato francese), Mauro Penzo (abile organizzatore di Schiocomics), Melissa Zanella (altra ottima disegnatrice bonelliana con Nathan Never in prima fila) e Sofia Terzo (eccellente co-autrice con Giuliano del Dracula francese) - per la qualità dei disegni e la brillantezza di sceneggiatura e dialoghi: un horror virato simpaticamente in commedia, con stile e vivacità.
Al secondo posto si è piazzato Che Draculo di Francesco Guiotto, mentre al terzo, a pari merito, Pandora di De Cecco, Massignani, Padovan, Randon e Tre Spose per un vampiro di Vivian e Munaretto.
Resta da dire che la partecipazione al concorso è stata massiccia nel numero e di qualità mediamente più che apprezzabile, il che depone a favore dell'entusiasmo e delle prospettive dei partecipanti. Perciò, in bocca al lupo a tutti.
domenica 26 maggio 2013
venerdì 24 maggio 2013
Bob Dylan 72nd
Diversi post dylaniani in questo blog ultimamente, ma non mi potevo esimere dal celebrare, come di consueto, il compleanno - sono 72, niente male - del nostro.
L'anno trascorso ha segnalato un Bob Dylan ancora capace di sorprendere e di lasciare il segno, con il nuovo album Tempest che si è rivelato essere uno dei migliori degli ultimi decenni e di cui ho già diffusamente parlato qui.
Ma Tempest, benché tuttora molto presente, è già passato e il presente vero e proprio è fatto del per fortuna immancabile tour che si sta rivelando particolarmente interessante. L'ingresso nella band di Duke Robillard, a scapito di un Charlie Sexton decisamente sotto tono negli ultimi tempi, ha rinfrescato il sound dandogli maggiore virtuosità chitarristica, maggior colore (credo che non sia stata estranea a evidenziare la necessità di un cambio del genere la presenza sul palco di Mark Knopfler in diverse occasioni durante i recenti tour congiunti: quando suonava Knopfler si capiva improvvisamente - o ci si ricordava - cosa può fare un chitarrista abile e ispirato).
Inoltre, diversamente da quel che ha sempre fatto (tranne che, principalmente, nel tour del 1966 e la cosa potrebbe anche essere significativa, ma non chiedetemi di cosa), Dylan ha mantenuto ferrea la scaletta dei concerti, concedendosi solo minime variazioni. Ciò ha tolto quella imprevedibilità tipicamente dylaniana, ma, forse non imprevedibilmente, ha aggiunto una qualità e una perfezione nell'esecuzione che, per cambiare, si possono accogliere favorevolmente. Tra le altre cose, riscoprendo una canzone, What Good Am I, già ottima di per sé, ma resa adesso in una versione intensa che ne riscopre appieno il significato (sempre attuale) e dimostra una volta di più che cosa Dylan riesca ancora a fare pur con una voce non più nella forma primigenia.
L'anno trascorso ha segnalato un Bob Dylan ancora capace di sorprendere e di lasciare il segno, con il nuovo album Tempest che si è rivelato essere uno dei migliori degli ultimi decenni e di cui ho già diffusamente parlato qui.
Ma Tempest, benché tuttora molto presente, è già passato e il presente vero e proprio è fatto del per fortuna immancabile tour che si sta rivelando particolarmente interessante. L'ingresso nella band di Duke Robillard, a scapito di un Charlie Sexton decisamente sotto tono negli ultimi tempi, ha rinfrescato il sound dandogli maggiore virtuosità chitarristica, maggior colore (credo che non sia stata estranea a evidenziare la necessità di un cambio del genere la presenza sul palco di Mark Knopfler in diverse occasioni durante i recenti tour congiunti: quando suonava Knopfler si capiva improvvisamente - o ci si ricordava - cosa può fare un chitarrista abile e ispirato).
Inoltre, diversamente da quel che ha sempre fatto (tranne che, principalmente, nel tour del 1966 e la cosa potrebbe anche essere significativa, ma non chiedetemi di cosa), Dylan ha mantenuto ferrea la scaletta dei concerti, concedendosi solo minime variazioni. Ciò ha tolto quella imprevedibilità tipicamente dylaniana, ma, forse non imprevedibilmente, ha aggiunto una qualità e una perfezione nell'esecuzione che, per cambiare, si possono accogliere favorevolmente. Tra le altre cose, riscoprendo una canzone, What Good Am I, già ottima di per sé, ma resa adesso in una versione intensa che ne riscopre appieno il significato (sempre attuale) e dimostra una volta di più che cosa Dylan riesca ancora a fare pur con una voce non più nella forma primigenia.
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lunedì 20 maggio 2013
Il cinema di Bob Dylan su Maggie's Farm
Oggi, Mr. Tambourine, il curatore del sito dylaniano Maggie's Farm (creato da Michele Murino), gentilmente si occupa del mio libro Il cinema di Bob Dylan. Se volete leggere ciò che scrive (e ve lo consiglio), seguite questo link (se lo fate nei prossimi giorni, scorrete sino alla data del 19 maggio per trovare la recensione del libro).
Con l'occasione, date anche un'occhiata al sito: è ricco di cose interessanti che ogni appassionato di Bob Dylan non può che apprezzare. E chi non è (ancora) un appassionato di Bob Dylan ha solo un grande vantaggio rispetto a chi lo è già: diventarlo e scoprire qualcosa di eccezionale.
Con l'occasione, date anche un'occhiata al sito: è ricco di cose interessanti che ogni appassionato di Bob Dylan non può che apprezzare. E chi non è (ancora) un appassionato di Bob Dylan ha solo un grande vantaggio rispetto a chi lo è già: diventarlo e scoprire qualcosa di eccezionale.
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Rudy Salvagnini
sabato 18 maggio 2013
Vampiri a fumetti (e Dizionario dei film horror)
Sabato 25 maggio a Valdagno, nell'ambito della manifestazione Valdagno che legge alle ore 20.30 ci sarà la premiazione del concorso Vampiri a fumetti (Sala Bocchese, Palazzo Festari, Corso Italia 63). Sono nella giuria e pertanto sarò presente anch'io. Chi è in zona è invitato a venire (anche nel corso della giornata): la manifestazione è di sicuro interesse. Chi invece non è in zona, farà bene a portarsi celermente in zona. Nella giuria c'è anche il prode e poliedrico Giuliano Piccininno - disegnatore di Dampyr e di mille altre cose - che stavolta gioca in casa.
Prima della premiazione (e quindi un po' prima delle 20.30) ci sarà l'occasione anche per parlare del Dizionario dei film horror (Corte del Fontego) e chi non ce l’ha ancora potrà persino acquistarlo. Sembrerà infatti strano, ma la stragrande maggioranza degli italiani (non parliamo poi degli stranieri) ancora non ce l’ha: ne ho le prove.
Qui sopra la locandina della manifestazione da cui potrete trarre le informazioni del caso: in ogni evenienza, per i dettagli potete visitare il sito www.progettogiovanivaldagno.it.
Prima della premiazione (e quindi un po' prima delle 20.30) ci sarà l'occasione anche per parlare del Dizionario dei film horror (Corte del Fontego) e chi non ce l’ha ancora potrà persino acquistarlo. Sembrerà infatti strano, ma la stragrande maggioranza degli italiani (non parliamo poi degli stranieri) ancora non ce l’ha: ne ho le prove.
Qui sopra la locandina della manifestazione da cui potrete trarre le informazioni del caso: in ogni evenienza, per i dettagli potete visitare il sito www.progettogiovanivaldagno.it.
venerdì 10 maggio 2013
House at the End of the Street
La categoria degli psycho-thriller è tra le più popolate e non manca stagione che ne arrivi più di qualcuno. Qualunque interpretazione psicanalitica è buona purché serva a dare un movente a qualche assassino più o meno seriale. Ricordo i bei tempi degli psycho-thriller hammeriani di Jimmy Sangster, pretestuosissimi e di uno schematismo raffinato. Adesso chi si contenta gode, come sempre. Tra pochi giorni arriva sui nostri schermi House at the End of the Street, classico psycho-thriller dalla struttura molto articolata. Ne ho scritto la recensione per MyMovies e se volete leggerla andate pure qui.
Qui sopra Elisabeth Shue in una scena del film: c'è anche Jennifer Lawrence, ma mi pare doveroso omaggiare un'attrice di valore che ha fatto più di qualche puntata nell'horror, a partire dal non dimenticato Link (dicevo per dire, lo so che l'avete dimenticato tutti).
Qui sopra Elisabeth Shue in una scena del film: c'è anche Jennifer Lawrence, ma mi pare doveroso omaggiare un'attrice di valore che ha fatto più di qualche puntata nell'horror, a partire dal non dimenticato Link (dicevo per dire, lo so che l'avete dimenticato tutti).
lunedì 29 aprile 2013
Rosco e Sonny sul Fumetto
Nel numero 85 (marzo 2013) dell’elegante trimestrale Fumetto pubblicato dall’Associazione Nazionale Amici del Fumetto e dell’Illustrazione (ANAFI) c’è un bell’articolo su Rosco e Sonny scritto da Luigi Marcianò, una delle colonne dell’Associazione e, anche, della rivista (la cui copertina - un bellissimo disegno originale di Rodolfo Torti - è dedicata proprio a Rosco e Sonny).
L’articolo si intitola Rosco e Sonny: due poliziotti... in pensione?, dove il punto di domanda è beneaugurante per un sia pur assai difficile ritorno della coppia. Oltre a ripercorrere brevemente, ma non banalmente, la storia dei due poliziotti, Marcianò ha anche condotto un’interessantissima intervista a quattro coinvolgendo gli autori della serie, dai due originari creatori (Claudio Nizzi per i testi e Giancarlo Alessandrini per i disegni) a quelli che hanno preso il testimone, chi prima (Rodolfo Torti ai disegni) chi dopo (io, ai testi). Le mie risposte le conoscevo (ma magari a chi segue questo blog potrà incuriosire leggerle), perciò il mio interesse è andato soprattutto sulle risposte degli altri, sempre puntuali, ricche di notazioni curiose e aneddoti simpatici (io, per esempio, non sapevo che Alessandrini si era ritratto nel personaggio di Sonny), ma soprattutto piene di passione e simpatia per i personaggi e la loro storia. Anche le illustrazioni seguono un apprezzabile percorso filologico: sono presenti le copertine del Giornalino che presentava il primo episodio della serie e di quello che presentava l’ultimo, nonché la prima pagina del primo episodio e l’ultima dell’ultimo, a racchiudere non solo simbolicamente la parabola di questi due personaggi che sono durati molto, ma, se mi è permesso dirlo (e direi di sì, perché qui sono a casa mia), potevano durare ancora. L’articolo si chiude con la cronologia completa di tutti gli episodi di Rosco & Sonny, con tutte le indicazioni del caso (ho avuto ulteriore conferma, quindi, che l’episodio L’ultimo round, il cinquantaduesimo che avevo scritto, non me l’ero perso, ma proprio non era stato pubblicato e, penso, nemmeno disegnato).
Complimenti quindi a Luigi Marcianò per aver dedicato il suo tempo così proficuamente a Rosco & Sonny e un ringraziamento da parte mia anche agli autori che hanno realizzata la serie: Claudio Nizzi, Giancarlo Alessandrini e, ultimo ma non infine, Rodolfo Torti con cui ho condiviso così tante storie e che non ha mai deluso le mie aspettative (anzi). Un ringraziamento, inoltre, a Gino D'Antonio - un grande autore di cui conservo i preziosi insegnamenti - che, quella volta, ha scelto me per scrivere i testi della coppia.
L’occasione è buona anche per ricordare l’attività dell’ANAFI che, dapprima in veste di ANAF, è sulla breccia da lunghissimo tempo (la mia prima tessera di socio, che ancora conservo, risale al 1972, ma loro c’erano già da prima) e ha anche, per me, l’indiscusso merito di avermi conferito, nel 2002, l’unico premio della mia carriera fumettistica. A parte questo, chi si interessa di fumetti, non può non trovare interessante l’attività dell’ANAFI: per avere le sue pubblicazioni (quattro numeri della rivista Fumetto - una rivista il cui formato più che grande è gigantesco - oltre a due volumi che, per il 2013, sono particolarmente interessanti: L’Asso di picche dall’Argentina di Alberto Ongaro e Hugo Pratt e Paperino, le inedite follie inglesi, il tutto a soli 75 euro). Per maggiori dettagli vi invito a dare un’occhiata al sito dell’ANAFI.
L’articolo si intitola Rosco e Sonny: due poliziotti... in pensione?, dove il punto di domanda è beneaugurante per un sia pur assai difficile ritorno della coppia. Oltre a ripercorrere brevemente, ma non banalmente, la storia dei due poliziotti, Marcianò ha anche condotto un’interessantissima intervista a quattro coinvolgendo gli autori della serie, dai due originari creatori (Claudio Nizzi per i testi e Giancarlo Alessandrini per i disegni) a quelli che hanno preso il testimone, chi prima (Rodolfo Torti ai disegni) chi dopo (io, ai testi). Le mie risposte le conoscevo (ma magari a chi segue questo blog potrà incuriosire leggerle), perciò il mio interesse è andato soprattutto sulle risposte degli altri, sempre puntuali, ricche di notazioni curiose e aneddoti simpatici (io, per esempio, non sapevo che Alessandrini si era ritratto nel personaggio di Sonny), ma soprattutto piene di passione e simpatia per i personaggi e la loro storia. Anche le illustrazioni seguono un apprezzabile percorso filologico: sono presenti le copertine del Giornalino che presentava il primo episodio della serie e di quello che presentava l’ultimo, nonché la prima pagina del primo episodio e l’ultima dell’ultimo, a racchiudere non solo simbolicamente la parabola di questi due personaggi che sono durati molto, ma, se mi è permesso dirlo (e direi di sì, perché qui sono a casa mia), potevano durare ancora. L’articolo si chiude con la cronologia completa di tutti gli episodi di Rosco & Sonny, con tutte le indicazioni del caso (ho avuto ulteriore conferma, quindi, che l’episodio L’ultimo round, il cinquantaduesimo che avevo scritto, non me l’ero perso, ma proprio non era stato pubblicato e, penso, nemmeno disegnato).
Complimenti quindi a Luigi Marcianò per aver dedicato il suo tempo così proficuamente a Rosco & Sonny e un ringraziamento da parte mia anche agli autori che hanno realizzata la serie: Claudio Nizzi, Giancarlo Alessandrini e, ultimo ma non infine, Rodolfo Torti con cui ho condiviso così tante storie e che non ha mai deluso le mie aspettative (anzi). Un ringraziamento, inoltre, a Gino D'Antonio - un grande autore di cui conservo i preziosi insegnamenti - che, quella volta, ha scelto me per scrivere i testi della coppia.
L’occasione è buona anche per ricordare l’attività dell’ANAFI che, dapprima in veste di ANAF, è sulla breccia da lunghissimo tempo (la mia prima tessera di socio, che ancora conservo, risale al 1972, ma loro c’erano già da prima) e ha anche, per me, l’indiscusso merito di avermi conferito, nel 2002, l’unico premio della mia carriera fumettistica. A parte questo, chi si interessa di fumetti, non può non trovare interessante l’attività dell’ANAFI: per avere le sue pubblicazioni (quattro numeri della rivista Fumetto - una rivista il cui formato più che grande è gigantesco - oltre a due volumi che, per il 2013, sono particolarmente interessanti: L’Asso di picche dall’Argentina di Alberto Ongaro e Hugo Pratt e Paperino, le inedite follie inglesi, il tutto a soli 75 euro). Per maggiori dettagli vi invito a dare un’occhiata al sito dell’ANAFI.
lunedì 15 aprile 2013
Ancora su Rosco e Sonny
Segnalo con piacere questo interessante articolo di Carlo Scaringi comparso oggi sul benemerito sito fumettistico afNews.info. Lo segnalo perché parla di Rosco e Sonny, i personaggi che per molti anni ho scritto per Il Giornalino, dopo aver raccolto il testimone da Claudio Nizzi, precedente sceneggiatore della serie nonché suo creatore. Qui sopra una vignetta (la stessa che trovate anche su afNews) da un'avventura di Rosco e Sonny scritta da me e disegnata dal bravissimo Rodolfo Torti, che a sua volta prese il testimone (ma ben prima di me) dal precedente disegnatore Giancarlo Alessandrini.
I miei fumetti e Bob Dylan (3)
Una delle particolarità della miniserie supereroistica Rave che ho scritto nel 1998 - ne ho già parlato qui - è che il titolo dei suoi singoli episodi, sei in tutto, sono citazioni dalle più varie fonti. Presa questa decisione citazionistica, non mi sono potuto esimere dall’inserire un rimando dylaniano. Così il titolo del quarto episodio è I tried my best to love you, but I cannot play this game, che si adattava molto bene al contenuto narrativo e proviene, come ben pochi potrebbero immaginare data la scarsa popolarità della canzone, da Angelina, un pezzo del 1981 appartenente alle sessioni dell’album Shot of Love (un album non troppo amato persino dai dylaniani, ma invece non privo di meriti), ma rimasto inedito sino al 1991 quando è stato inserito in The Bootleg Series vol. 1-3, la prima cornucopia di quella serie. (Tra parentesi, lo so che la citazione non è correttissima, ma ero andato a memoria)
È uno dei grandi misteri dylaniani: perché Angelina non trovò immediatamente posto in quell’album - magari assieme a Caribbean Wind, un altro grande inedito di quel periodo. Caribbean Wind, almeno, vide la luce prima, nel 1985, all’interno della raccolta Biograph (tra l’altro, ricordo che, all’epoca, quando Shot of Love non era ancora uscito, avevo letto su una rivista musicale che il titolo del nuovo album di Dylan sarebbe stato proprio Caribbean Wind: quando l’album uscì, di Caribbean Wind non c’era traccia, ma il titolo mi rimase in mente) - considerato che si tratta di una delle migliori canzoni di sempre scritte da Dylan? Enigmatica, suggestiva, profonda, piena di versi fulminanti: se non la conoscete, ascooltatela (magari non scambiandola per Farewell Angelina, che è tutt’altra canzone).
La cosa strana è che, diversamente da altri grandi inediti degli anni ‘80 (penso a Blind Willie McTell, per esempio, di cui peraltro resta ancora inedita la magnifica versione “elettrica”), che di riffe o di raffe arrivarono alle orecchie dei collezionisti via bootleg di varia natura, Angelina proruppe nel mondo dylaniano nel 1991 senza prima essere nota ad alcuno. Un po’ come sarebbe successo, decadi più tardi, a Red River Shore, che però, almeno di nome, si sapeva che esisteva.
Qui sopra la prima pagina del quarto episodio di Rave, disegnato da Giuliano Piccininno - the man who made a name for himself and still has it - e arricchito, come si può facilmente notare, da un’altra citazione dylaniana, risalente stavolta agli anni ‘70.
È uno dei grandi misteri dylaniani: perché Angelina non trovò immediatamente posto in quell’album - magari assieme a Caribbean Wind, un altro grande inedito di quel periodo. Caribbean Wind, almeno, vide la luce prima, nel 1985, all’interno della raccolta Biograph (tra l’altro, ricordo che, all’epoca, quando Shot of Love non era ancora uscito, avevo letto su una rivista musicale che il titolo del nuovo album di Dylan sarebbe stato proprio Caribbean Wind: quando l’album uscì, di Caribbean Wind non c’era traccia, ma il titolo mi rimase in mente) - considerato che si tratta di una delle migliori canzoni di sempre scritte da Dylan? Enigmatica, suggestiva, profonda, piena di versi fulminanti: se non la conoscete, ascooltatela (magari non scambiandola per Farewell Angelina, che è tutt’altra canzone).
La cosa strana è che, diversamente da altri grandi inediti degli anni ‘80 (penso a Blind Willie McTell, per esempio, di cui peraltro resta ancora inedita la magnifica versione “elettrica”), che di riffe o di raffe arrivarono alle orecchie dei collezionisti via bootleg di varia natura, Angelina proruppe nel mondo dylaniano nel 1991 senza prima essere nota ad alcuno. Un po’ come sarebbe successo, decadi più tardi, a Red River Shore, che però, almeno di nome, si sapeva che esisteva.
Qui sopra la prima pagina del quarto episodio di Rave, disegnato da Giuliano Piccininno - the man who made a name for himself and still has it - e arricchito, come si può facilmente notare, da un’altra citazione dylaniana, risalente stavolta agli anni ‘70.
venerdì 22 marzo 2013
La madre
In questi giorni è uscito La madre, film d'esordio nel lungometraggio (si potrà ancora dire così ora che non si usa più la pellicola?) di Andy Muschietti. Si tratta di un horror ed è presentato da Guillermo del Toro, autore di notevole rilievo nel genere sia per le opere che ha realizzato come regista (Cronos, Hellboy, La spina del diavolo e anche Il labirinto del fauno che non è un horror, ma è comunque bello), sia per quelle che ha in qualche modo incentivato (The Orphanage, Con gli occhi dell'assassino eccetera).
Ne ho scritto la recensione per MyMovies e chi vuole leggerla può trovarla qui.
Una nota a margine: vale la pena, prima o dopo (ma non durante) la visione di La madre, dare un'occhiata a Mamà, il cortometraggio (soli tre minuti) di Muschietti che ha dato origine al tutto. Cercando, lo si trova facilmente in rete (anche su YouTube, direi).
Nella foto, la protagonista Jessica Chastain.
Ne ho scritto la recensione per MyMovies e chi vuole leggerla può trovarla qui.
Una nota a margine: vale la pena, prima o dopo (ma non durante) la visione di La madre, dare un'occhiata a Mamà, il cortometraggio (soli tre minuti) di Muschietti che ha dato origine al tutto. Cercando, lo si trova facilmente in rete (anche su YouTube, direi).
Nella foto, la protagonista Jessica Chastain.
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mercoledì 20 marzo 2013
Frammenti tardivi su Chronicles Vol. 1 di Bob Dylan
L’avevo già letto, naturalmente, appena era uscito, nella versione originale in inglese. Però recentemente l’ho riletto, nella traduzione italiana di Alessandro Carrera: la maggiore familiarità con la lingua mi ha permesso una lettura più distesa e rilassata. Gran bel libro. Parlo, come si capisce dal titolo di questo post, del volume autobiografico Chronicles Vol. 1 di Bob Dylan, ma non ci torno sopra per una recensione ormai fuori tempo massimo (tra parentesi, la lettura è consigliata a tutti, ovviamente, ma questo ça va sans dire). Ne parlo qui solo per fare un paio di osservazioni su due punti particolari, entrambi verso la fine del libro. Non che siano più brillanti o acuti di altri, ma, sapete com’è, c’è sempre qualcosa che ti colpisce di più. E se non è un randello, è di solito una cosa positiva.
La prima è una riflessione che ben si attaglia allo stato d’animo con cui mi sembra di seguire le vicende dell’attualità, politica e non. Scrive Bob Dylan, riferendosi al se stesso dei primi anni ‘60: “Perfino le notizie dell’attualità mi rendevano nervoso. Mi piacevano di più le notizie vecchie. Tutte le notizie nuove erano brutte. Meno male che non le dovevo sopportare per tutta la giornata. Ventiquattr'ore al giorno di notizie continue sarebbero state un inferno”. Non è condivisibile? Il fascino delle notizie vecchie è insuperabile: dato che sono successe da tempo, hanno perso l’urgenza e la pericolosità, fanno parte dell’ineluttabile. Mi capita spesso, quando vedo un vecchio giornale o una vecchia rivista di tanti anni fa: sfogliandolo, penso a quante brutture quelli che lo stavano leggendo al momento della prima uscita o lo avevano scritto si erano risparmiati sino a quel punto, a quante cose detestabili sarebbero accadute in seguito e avrebbero potuto essere evitate. Ovvio che questo accada soprattutto ha l'età per ricordare con maggiore affezione epoche passate, ma credo ci sia anche un fondo di verità incontestabile e cioè che le cose vanno sempre peggio. Del resto, chi apprezza Bob Dylan ricorderà anche questi versi di Caribbean Wind: “Every new messenger bring evil report/’bout armies on the march and times that is short/And famines and earthquakes and train wrecks and the tearin’ down of the wall”. Quali immagini migliori per il telegiornale della fine del mondo? C'è da immaginarseli i giornalisti frenetici per dare per primi le notizie del collasso finale per poi collassare anche loro insieme a tutti e tutto. Naturalmente, quello che paventava Dylan nel suo libro - i notiziari 24 ore su 24 - si è poi verificato (ma questo il Dylan scrittore lo sapeva bene e l'ironia non è casuale).
L’altro aspetto è una curiosità, tale soprattutto per chi segue (e, seguendolo, ogni tanto lo raggiunge) questo blog e quindi ha qualche familiarità con il cinema dell’orrore. Scrive Bob Dylan, riferendosi all’ondata di ribellione che avrebbe sconvolto la seconda metà degli anni ‘60: “Di lì a pochi anni una vera e propria bufera di merda si sarebbe scatenata. Tutto avrebbe cominciato a bruciare, reggiseni, cartoline precetto, bandiere americane, e anche i ponti alle spalle. Tutti a sognare un’eccitazione senza fine. La psiche dell’intera nazione stava per cambiare e in molti modi sarebbe stata simile alla notte dei morti viventi”. Nella versione originale Dylan fa riferimento espresso a Night of the Living Dead: lo scrive con le iniziali maiuscole, come se fosse un titolo (anche se non lo scrive in corsivo, come vengono invece indicati i titoli, anche nel suo libro), proprio il titolo dell’influente e fondamentale film di Romero. Avrà visto il film? Si sarà riferito proprio a quello? L’ipotesi è suggestiva perché indicare proprio il film di Romero come metafora dell’America di quegli anni sarebbe proprio in linea con la lettura che del film hanno dato i critici (me, umilmente, compreso). Chissà. Bob Dylan è interessato al cinema e ha citato varie volte film horror - anche piuttosto oscuri - nella sua trasmissione radiofonica, per cui tutto è possibile. Ricordo che in occasione della prima edizione del mio Dizionario dei film horror (Corte del Fontego) per un certo periodo avevo accarezzato l’idea di mettere sul retro copertina una citazione dylaniana pertinente. E cioè: “Welcome to the land of the living dead”. Tratta da Brownsville Girl, naturalmente. Curiosamente, Land of the Dead (La terra dei morti viventi, nella traduzione italiana) è diventato il titolo del quarto film di Romero sui morti viventi. Strani intrecci.
La prima è una riflessione che ben si attaglia allo stato d’animo con cui mi sembra di seguire le vicende dell’attualità, politica e non. Scrive Bob Dylan, riferendosi al se stesso dei primi anni ‘60: “Perfino le notizie dell’attualità mi rendevano nervoso. Mi piacevano di più le notizie vecchie. Tutte le notizie nuove erano brutte. Meno male che non le dovevo sopportare per tutta la giornata. Ventiquattr'ore al giorno di notizie continue sarebbero state un inferno”. Non è condivisibile? Il fascino delle notizie vecchie è insuperabile: dato che sono successe da tempo, hanno perso l’urgenza e la pericolosità, fanno parte dell’ineluttabile. Mi capita spesso, quando vedo un vecchio giornale o una vecchia rivista di tanti anni fa: sfogliandolo, penso a quante brutture quelli che lo stavano leggendo al momento della prima uscita o lo avevano scritto si erano risparmiati sino a quel punto, a quante cose detestabili sarebbero accadute in seguito e avrebbero potuto essere evitate. Ovvio che questo accada soprattutto ha l'età per ricordare con maggiore affezione epoche passate, ma credo ci sia anche un fondo di verità incontestabile e cioè che le cose vanno sempre peggio. Del resto, chi apprezza Bob Dylan ricorderà anche questi versi di Caribbean Wind: “Every new messenger bring evil report/’bout armies on the march and times that is short/And famines and earthquakes and train wrecks and the tearin’ down of the wall”. Quali immagini migliori per il telegiornale della fine del mondo? C'è da immaginarseli i giornalisti frenetici per dare per primi le notizie del collasso finale per poi collassare anche loro insieme a tutti e tutto. Naturalmente, quello che paventava Dylan nel suo libro - i notiziari 24 ore su 24 - si è poi verificato (ma questo il Dylan scrittore lo sapeva bene e l'ironia non è casuale).
L’altro aspetto è una curiosità, tale soprattutto per chi segue (e, seguendolo, ogni tanto lo raggiunge) questo blog e quindi ha qualche familiarità con il cinema dell’orrore. Scrive Bob Dylan, riferendosi all’ondata di ribellione che avrebbe sconvolto la seconda metà degli anni ‘60: “Di lì a pochi anni una vera e propria bufera di merda si sarebbe scatenata. Tutto avrebbe cominciato a bruciare, reggiseni, cartoline precetto, bandiere americane, e anche i ponti alle spalle. Tutti a sognare un’eccitazione senza fine. La psiche dell’intera nazione stava per cambiare e in molti modi sarebbe stata simile alla notte dei morti viventi”. Nella versione originale Dylan fa riferimento espresso a Night of the Living Dead: lo scrive con le iniziali maiuscole, come se fosse un titolo (anche se non lo scrive in corsivo, come vengono invece indicati i titoli, anche nel suo libro), proprio il titolo dell’influente e fondamentale film di Romero. Avrà visto il film? Si sarà riferito proprio a quello? L’ipotesi è suggestiva perché indicare proprio il film di Romero come metafora dell’America di quegli anni sarebbe proprio in linea con la lettura che del film hanno dato i critici (me, umilmente, compreso). Chissà. Bob Dylan è interessato al cinema e ha citato varie volte film horror - anche piuttosto oscuri - nella sua trasmissione radiofonica, per cui tutto è possibile. Ricordo che in occasione della prima edizione del mio Dizionario dei film horror (Corte del Fontego) per un certo periodo avevo accarezzato l’idea di mettere sul retro copertina una citazione dylaniana pertinente. E cioè: “Welcome to the land of the living dead”. Tratta da Brownsville Girl, naturalmente. Curiosamente, Land of the Dead (La terra dei morti viventi, nella traduzione italiana) è diventato il titolo del quarto film di Romero sui morti viventi. Strani intrecci.
lunedì 11 marzo 2013
Pactum sceleris in e-book
Qualche tempo fa, in un apposito post avevo dato conto del buon esito che un mio racconto (intitolato Pactum sceleris) aveva avuto in un concorso organizzato dal sito Corpi Freddi e non a caso intitolato (il concorso) appunto Corpi freddi.
Adesso, a poco più di un anno di distanza, quel racconto è uscito in formato e-book pubblicato dalla Chichily Agency. Chi vuole può trovarlo su Amazon in formato per il kindle (al prezzo di € 1,49) oppure anche qui e qui, al medesimo prezzo, in formato epub per coprire una varietà di lettori e-reader. La lingua indicata è il tedesco (l'editore è tedesco e l'e-book è nato per quel mercato), ma sul sito di Corpi freddi (nei commenti al post che annuncia la pubblicazione) si assicura che il testo è in italiano (io, in effetti, posso assicurare d'averlo scritto in italiano, benché, devo ammetterlo, col titolo in latino).
Il racconto è molto nero e sono piuttosto soddisfatto di come è venuto. Per cui chi dovesse essere interessato (e chi potrebbe non esserlo?) a scoprire un altro aspetto del mio lavoro, non dovrebbe, credo e spero, restarne deluso. Queste di seguito sono le parole con cui il racconto è presentato:
"Arnoldo non ama il suo nome.
Arnoldo non ama la sua vita.
Arnoldo non ama il suo lavoro.
Arnoldo non ama sua moglie.
Ma soprattutto non ama le sorprese e invece, tornando a casa dal lavoro, ne trova una che lo aspetta tranquillamente seduta su una poltrona del salotto.
Arnoldo non ama le sorprese perché sa che di solito non sono buone sorprese. Ha ragione. Anche questa non è una buona sorpresa. Sangue, orrore e morte sono in attesa. Assieme ad altre sorprese."
Sono parole piuttosto appropriate (anche perché le ho scritte io), tenuto conto che, come in ogni buon trailer, la lotta è tra l'esigenza di rendere interessante il racconto e quella di non dare via svolte narrative importanti.
Ricordo che gli autori degli altri racconti selezionati in quel concorso sono questi: Simone Togneri, Sam Stoner, Riccardo Carli Ballola, Paolo Bartolozzi, Luca Rinarelli, Federico Pergolini, Fabio Giofrè, Damiano Celestini, Antonino Fazio, Afra Tresoldi. Ognuno di questi racconti è uscito in un e-book per cui a chi ama il genere la notizia potrà senz'altro interessare.
Adesso, a poco più di un anno di distanza, quel racconto è uscito in formato e-book pubblicato dalla Chichily Agency. Chi vuole può trovarlo su Amazon in formato per il kindle (al prezzo di € 1,49) oppure anche qui e qui, al medesimo prezzo, in formato epub per coprire una varietà di lettori e-reader. La lingua indicata è il tedesco (l'editore è tedesco e l'e-book è nato per quel mercato), ma sul sito di Corpi freddi (nei commenti al post che annuncia la pubblicazione) si assicura che il testo è in italiano (io, in effetti, posso assicurare d'averlo scritto in italiano, benché, devo ammetterlo, col titolo in latino).
Il racconto è molto nero e sono piuttosto soddisfatto di come è venuto. Per cui chi dovesse essere interessato (e chi potrebbe non esserlo?) a scoprire un altro aspetto del mio lavoro, non dovrebbe, credo e spero, restarne deluso. Queste di seguito sono le parole con cui il racconto è presentato:
"Arnoldo non ama il suo nome.
Arnoldo non ama la sua vita.
Arnoldo non ama il suo lavoro.
Arnoldo non ama sua moglie.
Ma soprattutto non ama le sorprese e invece, tornando a casa dal lavoro, ne trova una che lo aspetta tranquillamente seduta su una poltrona del salotto.
Arnoldo non ama le sorprese perché sa che di solito non sono buone sorprese. Ha ragione. Anche questa non è una buona sorpresa. Sangue, orrore e morte sono in attesa. Assieme ad altre sorprese."
Sono parole piuttosto appropriate (anche perché le ho scritte io), tenuto conto che, come in ogni buon trailer, la lotta è tra l'esigenza di rendere interessante il racconto e quella di non dare via svolte narrative importanti.
Ricordo che gli autori degli altri racconti selezionati in quel concorso sono questi: Simone Togneri, Sam Stoner, Riccardo Carli Ballola, Paolo Bartolozzi, Luca Rinarelli, Federico Pergolini, Fabio Giofrè, Damiano Celestini, Antonino Fazio, Afra Tresoldi. Ognuno di questi racconti è uscito in un e-book per cui a chi ama il genere la notizia potrà senz'altro interessare.
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Rudy Salvagnini
martedì 19 febbraio 2013
Non aprite quella porta 3D
Qualcuno sentiva nostalgia per l'amichevole ronzio della sega a motore? Be', è ritornata in azione, come sempre governata dalle possenti mani di Leatherface, sì, quel tizio che ama maschere di tipo particolare. Inoltre, come si intuisce dal titolo del nuovo film (Non aprite quella porta 3D), c'è una dimensione in più.
Ricordo ancora quando ho visto il film originale, Non aprite quella porta, quello di Tobe Hooper, appena uscito, al cinema Ducale (un cinema che esiste ancora, ma ha radicalmente cambiato genere di programmazione). L'ho visto da solo in una sala semivuota e devo dire che l'effetto fu consistente, un po' come mi era capitato tre anni prima quando avevo visto La notte dei morti viventi (al cinema Roma, una sala che sarebbe di lì a poco divenuta un po' particolare).
Ma non è il momento dei ricordi: è il momento di segnalare, a chi fosse interessato, che del nuovo film ho scritto una recensione per MyMovies. La trovate, come al solito, qui.
Qui sopra un'immagine dal film: quella a sinistra è la protagonista Alexandra Daddario. Quella di destra è la supporting actress, Tania Raymonde.
Ricordo ancora quando ho visto il film originale, Non aprite quella porta, quello di Tobe Hooper, appena uscito, al cinema Ducale (un cinema che esiste ancora, ma ha radicalmente cambiato genere di programmazione). L'ho visto da solo in una sala semivuota e devo dire che l'effetto fu consistente, un po' come mi era capitato tre anni prima quando avevo visto La notte dei morti viventi (al cinema Roma, una sala che sarebbe di lì a poco divenuta un po' particolare).
Ma non è il momento dei ricordi: è il momento di segnalare, a chi fosse interessato, che del nuovo film ho scritto una recensione per MyMovies. La trovate, come al solito, qui.
Qui sopra un'immagine dal film: quella a sinistra è la protagonista Alexandra Daddario. Quella di destra è la supporting actress, Tania Raymonde.
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