mercoledì 10 giugno 2020
Profondo
Profondo è il promettente esordio in solitaria nel lungometraggio per Giuliano Giacomelli - di cui ricordo le partecipazioni e due film a episodi di qualche anno fa (P-O-E. - Poetry of Eerie e P.O.E. - Project of Evil) ed è un film interessante e anche per certi versi originale.
Leo (Marco Marchese) è un fotografo, un fotoreporter si potrebbe dire, alla ricerca di svelare il mistero che circonda il cosiddetto Diavolo Rosso, una creatura acquatica che aveva dato qualche segnale di sé molti anni prima e che, nonostante le ricerche, nessuno ha mai trovato. Dopo la frenesia di molti, adesso, passato il momento topico, nessuno lo cerca più. Tranne Leo, che è arrivato apposta nel paese sulla costa marchigiana dove aveva dato segnali di sé ed esce ogni giorno in barca con lo scettico marinaio Ion (Nicola Trambusti), sperando di trovare un segno concreto del Diavolo Rosso. Il suo amico e collega Guido (Gianluigi Fogacci) giunge fin lì per avvisarlo di persona, visto che Leo non risponde alle chiamate telefoniche, che il giornale non finanzia più il servizio, visti gli scarsi risultati, e quindi dovrebbe chiudere tutto e tornare a casa. Leo, però, non ci pensa nemmeno: ha un tumore incurabile al cervello e vuole a tutti i costi svelare quell’ultimo mistero, come spiega alla cameriera Linda (Marcella Valenti), la cui figlioletta Ester (Millie Fortunato Asquini) ha dimostrato interesse nella ricerca di Leo.
Il film è la storia di un’ossessione che non è solo l’ossessione per un ultimo mistero da svelare, ma si trasforma - o lo è sempre stata - nella ricerca di un riscatto personale, di un significato da dare alla propria esistenza. Il ritmo è molto lento, introspettivo. Tutto è incentrato sul personaggio principale, cui fanno da contorno altri personaggi secondari che sono funzionali sempre a definire e far emergere le varie caratteristiche e finalità del protagonista, di cui viene nel tempo fornito un ritratto psicologico a tutto tondo, sfaccettato e interessante. Sua è quindi la ricerca, non solo di una creatura leggendaria, ma di un vero e proprio, per quanto forse futile, senso della vita.
Il film è girato molto bene, con proprietà e capacità di trovare le inquadrature e le immagini più efficaci. La fotografia (di Marina Kissopoulos) è precisa nel ricercare le giuste suggestioni dell’ambientazione marina e la musica di Gianluca Sibaldi aiuta a costruire un’atmosfera adatta alla storia. Marco Marchese, già molto bravo in Across the River - Oltre il guado di Lorenzo Bianchini, è ottimo nel dare sostanza e credibilità al protagonista e supplisce anche a talune incertezze che talvolta si palesano in alcune delle altre interpretazioni, pur sempre comunque volenterose. Alcuni personaggi secondari sono un po’ sfuocati nelle finalità e non sempre credibili: per fare un esempio, sembra un po’ di maniera e sviluppato in modo grezzo il personaggio che manifesta la propria contrarietà alla ricerca di Leo.
Il finale non sorprende, ma rappresenta una chiusa adeguata e coerente a una storia che sfugge alla facile catalogazione ricercando la sublimazione esistenziale di una materia narrativa solitamente ancorata al genere.
Profondo è attualmente disponibile su Amazon Prime Video: io l’ho visto lì.
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domenica 24 maggio 2020
Bob Dylan 79
Oggi Bob Dylan compie gli anni: anche quello trascorso è stato un anno ricco di cose interessanti, per quel che lo riguarda. In primo luogo è uscito su Netflix l’atteso documentario diretto da Martin Scorsese: Rolling Thunder Revue: Martin Scorsese racconta Bob Dylan. Inoltre, è stato pubblicato un altro - stavolta piccolo - cofanetto di The Bootleg Series, quello contrassegnato con il numero 15: Travelin’ Thru. Dedicato al periodo tra il 1967 e il 1969 si occupa inizialmente di uno dei dischi più densi e misteriosi di Bob Dylan, John Wesley Harding, mostrando come il suono essenziale e già perfetto di quel disco non avesse dato luogo a particolari variazioni neanche in fase realizzativa e preparatoria, come se il disegno fosse emerso già rifinito, senza dubbi o ripensamenti. La restante parte del cofanetto è dedicata alla famosa session con Johnny Cash da cui all’epoca emerse solo la Girl from the North Country di Nashville Skyline, per finire con alcune incisioni con Earl Scruggs, mago del bluegrass. Materiale quindi sempre interessante, ma che ha fatto solo da antipasto alla notizia che da tempo aspettavamo, quella di un disco nuovo di materiale originale. Il disco, Rough and Rowdy Ways, uscirà solo in giugno, ma è stato anticipato da tre canzoni che già hanno fatto intuire che si tratterà di un lavoro importante: Murder Most Foul, I Contain Multitudes e False Prophet. Tutte canzoni di rilievo e tutte diverse tra loro, pur con un evidente filo comune. insomma, tutto lascia presagire che sarà un grande album: a otto anni di distanza dall’ultimo - il gap maggiore tra i dischi di Bob Dylan - non si poteva sperare di meglio.
In attesa che possano tornare i concerti e magari che torni anche a esibirsi in Italia, non resta che fargli i migliori auguri di buon compleanno.
sabato 23 maggio 2020
La Banda nel Messaggero dei Ragazzi n. 1048!
Nel numero n. 1048 (maggio 2020) attualmente ancora in distribuzione del Messaggero dei Ragazzi c'è una nuova avventura della Banda, la serie che scrivo da qualche anno sempre con immutata soddisfazione. La storia si intitola Nessuno escluso ed è stata ottimamente disegnata da Giorgia Catelan.
Come spesso avviene in questa serie, la storia affronta un argomento di notevole importanza sociale - la disabilità e il rapporto con essa - e cerca di farlo in modo da divertire e nel contempo spingere alla riflessione. Speriamo di esserci riusciti.
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Rudy Salvagnini
giovedì 30 aprile 2020
Pico e il problema del blackout
Nel nuovo numero di Topolino - il 3362, attualmente in edicola - è pubblicata una mia nuova storia. Si intitola Pico e il problema del blackout, dura 14 pagine ed è disegnata da Francesco Guerrini. Questa storia segna il mio ritorno su Topolino dopo un po' di tempo ed è quindi una storia per me particolare: è una storia semplice, che spero di aver risolto in modo divertente. Testimonia il mio interesse per il lavoro sui cosiddetti secondari che, se ben utilizzati, possono dare notevoli soddisfazioni attraverso l'utilizzo ragionato delle loro caratteristiche specifiche. Insomma, per farla breve, possono far ridere anche loro, in prima persona.
I disegni di Francesco Guerrini, autore che stimo molto e con cui ho collaborato anche ai vecchi tempi, sono di notevole finezza ed espressività, oltre che di grande attenzione al dettaglio soprattutto nelle scenografie.
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sabato 28 marzo 2020
Bob Dylan - Murder Most Foul
Ieri Bob Dylan, a otto anni di distanza dal suo ultimo album di materiale nuovo (Tempest), ha pubblicato una nuova canzone. Si intitola Murder Most Foul ed è un brano di potenza poetica epica della durata di quasi 17 minuti, il che dovrebbe stabilire un nuovo record in campo dylaniano. Ma la durata non significa nulla, naturalmente. La canzone prende spunto dall’assassinio di John Fitzgerald Kennedy e anche in questo Dylan mostra di non aver paura d’essere apparentemente fuori tempo. Così come in Tempest aveva rievocato il Titanic e John Lennon molti anni dopo, qui riprende un momento epocale, quello dell’assassinio avvenuto a Dallas nel 1963, per poi andare un po’ ovunque in una canzone che sembra una summa emozioni ale di una generazione, di più generazioni. Non è una canzone consolatoria. Tutt’altro. Però nel ricordarci cosa siamo e cosa siamo stati ci può aiutare, in questi tempi di assedio da parte di un nemico invisibile, a venire a patti con quanto sta accadendo e a riflettere sulla natura umana. È una canzone straordinaria che dimostra una volta di più l’unicità di Bob Dylan. Nessun altro avrebbe potuto scrivere una canzone come questa. E nessun altro avrebbe potuto interpretarla come lui, con una voce capace di sfumature delicate e ricca di un’incomparabile espressività. Il testo è una miniera di intuizioni, suggestioni e saggezza e fornisce un accompagnamento amaro e disilluso, ma non rassegnato, alla vita di ognuno di noi, nella consapevolezza che sta a noi, al nostro comportamento, trovare la strada per una salvezza morale. "I hate to tell ya, mister, but only dead men are free".
sabato 7 marzo 2020
The Grudge
A volte i film, come le piante, ributtano. Il reboot di una serie famosa si intitola The Grudge ed è diretto da Nicolas Pesce. Chi vuole leggere la recensione che ho scritto per MYmovies non deve fare altro che cliccare qui e andare su quel sito, dove troverà anche molte altre cose interessanti.
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sabato 22 febbraio 2020
La casa del padre
La casa del padre è un film di Vincenzo Totaro che affronta in modo particolare l’incontro tra due persone in un momento difficile della loro vita.
Antonio è un uomo di una certa età che torna nella casa dei genitori dove non andava da trent’anni. I genitori sono morti e il fratello Corrado insiste perché la casa sia venduta. Antonio la pensa diversamente, è più legato alla casa, a quello che ha significato, ai ricordi che suscita. Come da accordi col fratello, però, Antonio accoglie Angela, una donna che ha manifestato interesse per la casa e gliela mostra a questo scopo. Poi però spara una cifra assurda che suscita una reazione di perplessità nella donna che, mentre Antonio è impegnato nell’ennesima telefonata col fratello, se ne va. Antonio, mentre sistema alcune cose e ne cerca altre per il figlio Federico, scorge dalla finestra la donna che è ancora nei paraggi, sotto l’acqua battente di una pioggia che sembra interminabile. Perciò la richiama su e comincia con lei una relazione sotto una chiave diversa, più personale. Quando arriva la vera Angela, Antonio si rende conto che quella venuta prima non era affatto l’Angela che aspettava. Manda però via la vera Angela dicendole che non vogliono più vendere e accettandone di buon grado le ire. Poi si dedica alla finta Angela, che in realtà si chiama Cristina.
Girato tutto all’interno di un appartamento e di impianto quasi teatrale, il film si concentra in modo praticamente esclusivo su due personaggi - gli unici fisicamente in scena a parte la fugace comparsa della vera Angela - che si incontrano quasi per caso e si ritrovano ad approfondire la loro conoscenza, rivelandosi le loro debolezze, fragilità e difficoltà. Ma la casualità è probabilmente un’illusione. Il lavoro sui personaggi è interessante e molto approfondito. I ricordi della vita passata permangono ancora nella casa, sono un segno palpabile della vita vissuta là dentro e ogni tanto - con movimenti apparentemente incongrui - manifestano la loro presenza, come fantasmi del passato. Come se gli oggetti di una casa assorbissero le anime di chi ha vissuto e volessero in qualche modo esprimerle.
I dialoghi sono spesso significativi e anche arguti. Riescono a far emergere i sentimenti senza esporli in modo troppo evidente. Tutto resta sottinteso e poco viene spiegato, anche della situazione effettiva dei protagonisti, che resta opportunamente nel vago. Interessante è anche la professione - o ex professione - di Antonio, che è un fumettista, con tutto quello che ciò rimanda anche in termini di rimpianto per un mondo che appartiene al passato di un fumetto che era molto diverso da quello che è adesso. Il desiderio di trovare reciproco sollievo dai problemi di un’esistenza in qualche modo compromessa è reso chiaro dal comportamento dei personaggi, così come è sempre altrettanto chiaro come sia improbabile che riescano a ottenerlo.
Molto riuscito il finale, dai contorni metafisici, che introduce un elemento di incertezza su quanto abbiamo visto sin lì e che si apre su uno squarcio di infinito. Azzeccata la scelta del bianco e nero sia perché si adatta bene al tono intimista del racconto sia perché massimizza l'efficacia del contrasto con le parti a colori all'inizio e alla fine del film. La regia di Vincenzo Totaro è sobria e attenta, con alcune raffinatezze, come la transizione dagli occhi della protagonista alle stelle della notte, realizzata in modo elegante, senza enfasi. Buona la prova dei protagonisti Manuela Boccanera e soprattutto Antonio Del Nobile. Unico difetto di una certa rilevanza, a mio avviso, è che il film è troppo lungo, con alcuni tempi morti che lo appesantiscono.
venerdì 14 febbraio 2020
Dylan & Me: 50 Years of Adventures di Louie Kemp
Questo è un libro che non mi sarei mai aspettato di poter leggere ed è un bene che invece sia stato scritto. Dylan & Me: 50 Years of Adventures di Louie Kemp (Westrose Press) è infatti un libro scritto da un amico fraterno di Bob Dylan, quel Lou Kemp che è comparso di quando in quando anche nella carriera musicale di Dylan, ma che per il resto ha fatto la sua vita di imprenditore di successo (nel campo dell’industria ittica) lontano dai riflettori. Come lontana dai riflettori è stata la loro amicizia di cui solo alcuni barlumi ogni tanto rifulgevano qua e là. Così come quella del terzo amico del cuore, quel Larry Kegan (“Not you, Larry… the other Larry”) che rimase tetraplegico dopo un tuffo sfortunato in giovane età ed è rimasto amico di Dylan e di Kemp sino alla sua fine, avvenuta nel 2001, colto da infarto - come racconta Lou Kemp - proprio mentre andava a comperare Love & Theft dell’amico.
In questo libro, Kemp racconta cinquant’anni e oltre di amicizia, ma chi si aspetta di trovarci qualche exposé o qualche retroscena da pettegolezzo resterà deluso: questo è il libro di un amico che è rimasto tale e che vuole tramandare un’amicizia forte - un’amicizia come quelle che molti vorrebbero aver avuto nella loro vita e pochi hanno invece avuto - nata in un campo estivo nel 1953 nel Wisconsin, quando Dylan - ancora Zimmerman - aveva dodici anni e Lou Kemp ne aveva undici. Eppure, come risulta chiaro dalle parole di Kemp, Dylan aveva già ben chiaro cosa avrebbe voluto fare della sua vita. I racconti di Kemp sono vividi e ci mostrano, soprattutto negli anni giovanili, un ritratto di Dylan che nessuno dei suoi biografi aveva potuto tracciare. Il ritratto di un ragazzo scatenato e particolare, pieno di verve e di vitalità, sempre controcorrente e sempre amante della musica.
Ed emerge anche come Dylan, nei confronti degli amici d’infanzia, sia sempre rimasto lo stesso e sia sempre rimasto molto presente anche dopo essere diventato famoso. Kemp racconta di come sia ritornato a essere molto vicino a Dylan sia durante la lavorazione di Pat Garrett & Billy the Kid sia durante il famoso tour del ’74, quello del grande ritorno con la Band dopo otto anni senza tournée. Ma è anche cruciale il racconto che Kemp fa della nascita della Rolling Thunder Revue, quel baraccone spettacolare che Dylan ha messo in piedi nel 1975 e nel 1976 e che è stato recentemente celebrato da Scorsese nel suo ottimi documentario di cui ho già parlato. Kemp di quella tournée è stato in sostanza il manager, l’organizzatore e quindi ha pieno titolo per raccontarne premesse, sviluppi e aneddoti. E lo fa in modo simpatico e vivace. Tutto il libro è scritto in modo molto piano e comunicativo: la lettura risulta quindi molto gradevole e interessante.
Anche i racconti del periodo cristiano di Dylan sono in un certo senso chiarificatori delle dinamiche di quel momento e delle dinamiche successive, mostrando come Dylan fosse da sempre molto interessato alle problematiche religiose senza particolari preclusioni.
Kemp parla anche molto di sé, soddisfatto di essere anche lui un uomo di successo e di non aver mai avuto bisogno di Bob per motivi né economici né di realizzazione personale e questo è un elemento da non sottovalutare con riguardo alla solidità della loro amicizia e al fatto che fosse assolutamente disinteressata. Molti sono gli aneddoti divertenti che riguardano personaggi famosi: su tutti, quella volta che Bob Dylan è andato a vedere la prima di una commedia di Sam Shepard rendendola indimenticabile e non per i giusti motivi. Ma molti sono quelli che riguardano anche Marlon Brando, Joni Mirtchell, Leonard Cohen, Kinky Friedman e altri ancora, compreso il Nobel alla Letteratura e i suoi retroscena.
Un libro in definitiva consigliato a tutti quelli che hanno un interesse nei confronti di Bob Dylan. Una testimonianza su un’amicizia importante che ci ricorda come Dylan sia anche una persona normale, cosa di cui a volte è difficile ricordarsi in considerazione di quanto ha fatto e di quanto ha significato e continua a significare.
Il libro è in inglese. Io l’ho letto nell’edizione Kindle che è molto economica. In questo profluvio di testi dylaniani, è un libro di cui consiglierei senz’altro un’edizione italiana a qualche editore coraggioso.
giovedì 13 febbraio 2020
Almost Dead
Esce oggi al cinema Almost Dead, un horror italiano diretto da Giorgio Bruno e interpretato da Aylin Prandi.
Chi è interessato a sapere cosa ne penso può andare qui e leggere la recensione che ho scritto per MYmovies.
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lunedì 27 gennaio 2020
Segnocinema 221
Nel numero di Segnocinema attualmente in dsitribuzione, vale a dire il n. 221 (gennaio-febbraio 2020), ci sono come sempre molte cose interessanti per chiunque si interessi di cinema (recensioni, segnalazioni, saggi). Segnalo soprattutto lo speciale Vent'anni nel 2000 - Traioettorie nel cinema dal 2000 al 2019 seconda parte. Di particolare interesse per me è, all'interno di questo speciale, la sezione nella quale 41 critici provvedono a segnalare quelli che ritengono essere i cinque migliori film del ventennio con l'aggiunta di segnalazioni facoltative per visioni ulteriori (cortometraggi, serie tv, visioni 'altre'). Leggere le segnalazioni è molto interessante e fonte di ispirazione. Tra questi 41 ci sono anch'io e colgo l'occasione per dare conto di un piccolo refuso nelle mie segnalazioni: in luogo del Dark Water di Walter Salles, intendevo segnalare il Dark Water di Hideo Nakata. Buona lettura.
venerdì 10 gennaio 2020
In the Trap
In the Trap è un nuovo horror italiano diretto da Alessio Liguori. In sala uscirà a marzo, ma intanto chi è interessato può leggere la recensione che ho scritto per MYmovies cliccando qui.
Qui sopra un'immagine dal film, con Miriam Galanti in evidenza. Gli altri interpreti principali sono David Bailie, Jamie Paul e Sonya Cullingford.
giovedì 19 dicembre 2019
La Banda nel Messaggero dei Ragazzi n. 1043!
Nel n. 1043 (dicembre 2019) del Messaggero dei Ragazzi, attualmente in distribuzione, è pubblicata una nuova storia della Banda, la serie per la quale scrivo da qualche anno, sempre con grande piacere, le sceneggiature.
Questo nuovo episodio si intitola Una notte all'inferno ed è disegnato, con la consueta grande perizia e immaginazione, dall'immarcescibile Luca Salvagno, che è stato anche il creatore grafico della serie. La storia appartiene al versante più umoristico della serie, ma tocca argomenti di notevole momento. Per dirla con Bob Dylan, What Good Am I? L'occasione è sempre buona per farsi un esame di coscienza e trarne, in qualche modo, le conseguenze.
Qui sopra alcune vignette tratte dalla storia: mi fa piacere segnalare l'omaggio di Luca a un personaggio dei fumetti che quelli della mia generazione - e anche della sua e di tante altre - hanno molto amato.
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