Si può resistere a un monster movie con i ragnoni? Tridimensionale, per giunta? La risposta è naturalmente sì, si può resistere, ma perché mai si dovrebbe? Belli o brutti i film con i ragni giganti si dovrebbero vedere tutti. No, d'accordo, questo è eccessivo, anche perché probabilmente il migliore è stato il primo, Tarantola di Jack Arnold, e da lì è stata una discesa con qualche risalita improvvisa.
Comunque, tutto questo per dire che ce n'è un altro. Si chiama Spiders 3D e il suo autore è un regista ungherese che gli appassionati di horror conoscono bene (e taluni di loro hanno imparato a evitare): Tibor Takacs. Qualcosa di (quasi) buono l'ha fatto in passato, questo Takacs, ma ormai sono molti anni che si dedica a una routine in bilico tra horror e catastrofico (nel senso che i suoi horror sono catastrofici e i suoi catastrofici sono orribili? Siete davvero cattivi se pensate cose del genere).
Anyway, se volete sapere cosa penso di questo suo film, non avete che da andare qui e leggervi la mia recensione su MyMovies.
domenica 8 settembre 2013
venerdì 2 agosto 2013
ESP2 - Fenomeni paranormali
ESP - Fenomeni paranormali ha avuto un seguito, come avviene più di talvolta con i film horror. E, come avviene ugualmente talvolta, il titolo è identico con la sola aggiunta di un numero: ESP2 - Fenomeni paranormali.
Si tratta di un found footage movie, uno di quei film, cioè, che partono dal presupposto di farci credere che i filmati che vediamo sono reali (per modo di dire, naturalmente). Un po' come avveniva nei secoli scorsi con i tanti romanzi i cui manoscritti gli autori ci dicevano aver trovato in qualche baule. La moda parte da alcuni momenti di Cannibal Holocaust e ha trovato la consacrazione in The Blair Witch Horror per poi tornare prepotentemente negli ultimi anni.
Anyway, chi vuole sapere cosa penso di questo film, può agevolmente andare a leggere qui la recensione che ho scritto per MyMovies.
Si tratta di un found footage movie, uno di quei film, cioè, che partono dal presupposto di farci credere che i filmati che vediamo sono reali (per modo di dire, naturalmente). Un po' come avveniva nei secoli scorsi con i tanti romanzi i cui manoscritti gli autori ci dicevano aver trovato in qualche baule. La moda parte da alcuni momenti di Cannibal Holocaust e ha trovato la consacrazione in The Blair Witch Horror per poi tornare prepotentemente negli ultimi anni.
Anyway, chi vuole sapere cosa penso di questo film, può agevolmente andare a leggere qui la recensione che ho scritto per MyMovies.
Etichette:
ESP2 - Fenomeni paranormali,
mymovies,
recensione film
giovedì 1 agosto 2013
Shock - My Abstraction of Death
Shock - My Abstraction of Death è un lungometraggio composto da due episodi: Between Us, diretto da Alessandro Redaelli, e Cromophobia, diretto da Domiziano Cristopharo. I due episodi sono abbastanza lunghi da essere in sostanza dei mediometraggi, un po’ come avveniva in Due occhi diabolici della coppia Argento-Romero. Ma se lì il legame era costituito da Edgar Allan Poe (come, curiosamente, negli altri film a episodi cui ha recentemente partecipato Cristopharo: P.O.E. Poetry of Eerie e P.O.E. Project of Evil), qui gli episodi sono scollegati e di stampo completamente diverso. Il che non è un difetto, anzi permette di variare toni e ambienti.
Between Us è uno psycho-horror urbano. Poco prima di Natale: Max (Massimo Onorato) ha litigato con la fidanzata Irene che l’ha conseguentemente lasciato. Yuri (Nicolò Pessi), amico di Max e anche di Irene, gli consiglia di fare la pace con lei. Il giorno dopo, Yuri è in auto per andare a portare il suo regalo a Max, ma la polizia gli telefona: Max è in ospedale in seguito a una rapina nella quale i suoi genitori sono stati uccisi. Yuri si precipita a recuperare l’amico, ancora sotto shock. Se lo porta a casa e cerca di confortarlo. Ma c’è qualcosa che va, oltre al duplice delitto. Qualcosa di ancora più orribile.
Concentrato sui due protagonisti, l’episodio ne traccia dapprima brevemente (ma con buona efficacia) la psicologia, poi ne esamina le reazioni successive al doppio delitto. Tutto quello che è al di là di questo resta fuori dallo schermo, sia il delitto, sia la polizia, generando una discreta sensazione di disagio e di mistero. Il procedere è un po’ lento, ma l’arcano che resta sotteso e qualche irruzione di un apparente soprannaturale mantengono abbastanza desto l’interesse: la storia è ben raccontata, con solo qualche piccolo problema di sintesi. Non è difficile immaginare il retroscena, ma il modo e il momento in cui è svelato sono di buon effetto. Discreta la recitazione dei due protagonisti che però fanno un po’ fatica a reggere tutto l’episodio sulle loro spalle, denotando qua e là qualche incertezza da inesperienza. La scelta di incentrare tutto sui due personaggi principali - dovuta forse anche, e saggiamente se è così, a esigenze produttive - da un lato è azzeccata perché crea una sorta di piccolo mondo interiore isolando il rapporto relazionale e l’amicizia che lega i protagonisti (che è, per Yuri, il vero motore delle sue azioni), dall’altro però, vista la lunghezza e la natura della storia, tende a diluirne l’impatto e a ridurre in parte la credibilità di quanto viene narrato (difficile pensare che la polizia operi solo per telefono in casi del genere).
Cromophobia è un horror sul filo (e oltre) del soprannaturale, ambientato in una casa che pare vivere di vita propria, tanto da influenzare le vite (e soprattutto le morti) di chi vi abita. Marco (Yuri Antonsante) e Celeste (Nancy De Lucia) vanno a vivere in questa vecchia casa in un paesino. Celeste, sotto psicofarmaci, deve riprendersi dopo il dramma di un aborto spontaneo e la mamma (Lucia Batassa) la conforta durante i primi momenti. Celeste è una scrittrice e spera che l’atmosfera “incantata” della casa possa aiutarla a recuperare l’ispirazione. Marco, medico, è spesso via per lavoro e Celeste è stranamente attirata dalle pareti della camera da letto. Passa le notti insonne (grazie anche al russare del marito) e nota cose curiose: sulla parete vicino alla testata del letto ci sono quelli che sembrano graffi. E un gocciolio insistente la tormenta anche se non ci sono perdite idrauliche da nessuna parte. Inoltre, scopre che quel luogo ha un pregresso consistente ed è stato teatro di fatti poco piacevoli, in particolare di una lunga serie di suicidi. Ben presto la vita nella casa si fa terribile per Celeste. Sono solo incubi? E' solo la sua immaginazione o c’è sul serio qualcosa?
Alle prese con uno dei topoi più frequentati del cinema horror - la casa posseduta - Cristopharo non ne rivisita l’impianto in modo particolarmente innovativo, ma lo “abita” alla ricerca di dettagli inquietanti, di particolari enigmatici, di sensazioni di bizzarro disagio: in sostanza, di occasioni per dispiegare il suo innegabile talento visionario, catalizzando su questi aspetti l’attenzione dello spettatore che, come la protagonista, è catturato nel gioco di ciò che (forse) è vero e di ciò che (forse) è solo apparentemente tale. Il finale è in linea con la tradizione di questo sottogenere e porta a compimento un teorema distruttivo la cui realizzazione ha il carattere dell’ineluttibilità e perciò anche, e questo è un piccolo difetto, della prevedibilità. Interessante il recupero di un’atmosfera genuinamente magica e macabra insieme: la discesa di Celeste nell’incubo è costellata di dubbi, di impressioni, di situazioni paradossali che inducono incertezza, tra falsi allarmi, incubi e visioni. Dimostrando ammirevole versatilità, Cristopharo abbandona i toni più carichi dei suoi film precedenti privilegiando una messa in scena raffinata e rarefatta che ben si combina con il tono intimistico e “magico” della storia. Particolarmente apprezzabile la fotografia (dello stesso Cristopharo) che dà risalto a un’ambientazione molto suggestiva negli esterni ed equilibrata negli interni, con notevole cura nell’uso del colore. La gradevolezza estetica e l'attenzione ai dettagli arricchiscono in modo fruttuoso la visione, rendendola sempre rimarchevole e interessante. Buona anche la recitazione - la cui qualità, nei film low-budget, non è affatto da prendere come un fatto acquisito - con Nancy De Lucia molto adatta al personaggio trasognato e turbato che interpreta. Simpatica la caratterizzazione di Peppe Laudisa del dottore, nel finale della storia.
Una menzione, infine, per i titoli di testa di Lorenzo Cannone, molto belli e particolari e per le musiche di Alexander Cimini, notevoli e ricche d’atmosfera.
Between Us è uno psycho-horror urbano. Poco prima di Natale: Max (Massimo Onorato) ha litigato con la fidanzata Irene che l’ha conseguentemente lasciato. Yuri (Nicolò Pessi), amico di Max e anche di Irene, gli consiglia di fare la pace con lei. Il giorno dopo, Yuri è in auto per andare a portare il suo regalo a Max, ma la polizia gli telefona: Max è in ospedale in seguito a una rapina nella quale i suoi genitori sono stati uccisi. Yuri si precipita a recuperare l’amico, ancora sotto shock. Se lo porta a casa e cerca di confortarlo. Ma c’è qualcosa che va, oltre al duplice delitto. Qualcosa di ancora più orribile.
Concentrato sui due protagonisti, l’episodio ne traccia dapprima brevemente (ma con buona efficacia) la psicologia, poi ne esamina le reazioni successive al doppio delitto. Tutto quello che è al di là di questo resta fuori dallo schermo, sia il delitto, sia la polizia, generando una discreta sensazione di disagio e di mistero. Il procedere è un po’ lento, ma l’arcano che resta sotteso e qualche irruzione di un apparente soprannaturale mantengono abbastanza desto l’interesse: la storia è ben raccontata, con solo qualche piccolo problema di sintesi. Non è difficile immaginare il retroscena, ma il modo e il momento in cui è svelato sono di buon effetto. Discreta la recitazione dei due protagonisti che però fanno un po’ fatica a reggere tutto l’episodio sulle loro spalle, denotando qua e là qualche incertezza da inesperienza. La scelta di incentrare tutto sui due personaggi principali - dovuta forse anche, e saggiamente se è così, a esigenze produttive - da un lato è azzeccata perché crea una sorta di piccolo mondo interiore isolando il rapporto relazionale e l’amicizia che lega i protagonisti (che è, per Yuri, il vero motore delle sue azioni), dall’altro però, vista la lunghezza e la natura della storia, tende a diluirne l’impatto e a ridurre in parte la credibilità di quanto viene narrato (difficile pensare che la polizia operi solo per telefono in casi del genere).
Cromophobia è un horror sul filo (e oltre) del soprannaturale, ambientato in una casa che pare vivere di vita propria, tanto da influenzare le vite (e soprattutto le morti) di chi vi abita. Marco (Yuri Antonsante) e Celeste (Nancy De Lucia) vanno a vivere in questa vecchia casa in un paesino. Celeste, sotto psicofarmaci, deve riprendersi dopo il dramma di un aborto spontaneo e la mamma (Lucia Batassa) la conforta durante i primi momenti. Celeste è una scrittrice e spera che l’atmosfera “incantata” della casa possa aiutarla a recuperare l’ispirazione. Marco, medico, è spesso via per lavoro e Celeste è stranamente attirata dalle pareti della camera da letto. Passa le notti insonne (grazie anche al russare del marito) e nota cose curiose: sulla parete vicino alla testata del letto ci sono quelli che sembrano graffi. E un gocciolio insistente la tormenta anche se non ci sono perdite idrauliche da nessuna parte. Inoltre, scopre che quel luogo ha un pregresso consistente ed è stato teatro di fatti poco piacevoli, in particolare di una lunga serie di suicidi. Ben presto la vita nella casa si fa terribile per Celeste. Sono solo incubi? E' solo la sua immaginazione o c’è sul serio qualcosa?
Alle prese con uno dei topoi più frequentati del cinema horror - la casa posseduta - Cristopharo non ne rivisita l’impianto in modo particolarmente innovativo, ma lo “abita” alla ricerca di dettagli inquietanti, di particolari enigmatici, di sensazioni di bizzarro disagio: in sostanza, di occasioni per dispiegare il suo innegabile talento visionario, catalizzando su questi aspetti l’attenzione dello spettatore che, come la protagonista, è catturato nel gioco di ciò che (forse) è vero e di ciò che (forse) è solo apparentemente tale. Il finale è in linea con la tradizione di questo sottogenere e porta a compimento un teorema distruttivo la cui realizzazione ha il carattere dell’ineluttibilità e perciò anche, e questo è un piccolo difetto, della prevedibilità. Interessante il recupero di un’atmosfera genuinamente magica e macabra insieme: la discesa di Celeste nell’incubo è costellata di dubbi, di impressioni, di situazioni paradossali che inducono incertezza, tra falsi allarmi, incubi e visioni. Dimostrando ammirevole versatilità, Cristopharo abbandona i toni più carichi dei suoi film precedenti privilegiando una messa in scena raffinata e rarefatta che ben si combina con il tono intimistico e “magico” della storia. Particolarmente apprezzabile la fotografia (dello stesso Cristopharo) che dà risalto a un’ambientazione molto suggestiva negli esterni ed equilibrata negli interni, con notevole cura nell’uso del colore. La gradevolezza estetica e l'attenzione ai dettagli arricchiscono in modo fruttuoso la visione, rendendola sempre rimarchevole e interessante. Buona anche la recitazione - la cui qualità, nei film low-budget, non è affatto da prendere come un fatto acquisito - con Nancy De Lucia molto adatta al personaggio trasognato e turbato che interpreta. Simpatica la caratterizzazione di Peppe Laudisa del dottore, nel finale della storia.
Una menzione, infine, per i titoli di testa di Lorenzo Cannone, molto belli e particolari e per le musiche di Alexander Cimini, notevoli e ricche d’atmosfera.
mercoledì 31 luglio 2013
La mano infernale
Il mondo dell’horror indipendente italiano è fatto (anche) di coraggiosi ed entusiasti che, con pochi mezzi, seguono la loro passione realizzando cortometraggi o addirittura lungometraggi. La mano infernale, scritto, diretto, musicato e montato da Lorenzo Boscaino è uno di questi e prende spunto da un classico della letteratura horror, il racconto La zampa di scimmia di W.W. Jacobs, già all’origine di una grande quantità di film (tra cui uno, di Brett Simmons, in uscita negli USA a ottobre), sia direttamente sia indirettamente (come nel caso di La morte dietro la porta).
1833: due giovani seppelliscono in un bosco un sacchetto con dentro qualcosa che ancora si muove. Oggi, il giovane Sebastian (Eros Bosi) è stato licenziato e, squattrinato, ha problemi con l’affitto di casa. Pure l’auto gli si ferma mentre sta facendo un giretto nel bosco con il cane Peter: il cane scappa tra gli alberi e Sebastian, cercandolo, si imbatte nel vecchio sacchetto sepolto (un po’ troppo in superficie, per la verità). Dentro c’è una mano, come scopre assieme all’amico Fux (Lorenzo Acquafredda), studente di medicina. Invece di portarla alla polizia, Sebastian si fa convincere dall’amico a tenerla in casa per una settimana, mentre l’altro ne fa esaminare un campione in laboratorio. Questo nonostante la mano si sia mossa da sola mentre la toccavano. Sebastian scoprirà che la mano possiede particolari poteri, ma che ci sono controindicazioni notevoli.
L’idea di riprendere il classico racconto di Jacobs per trarne linfa per un horror moderno non è male, ma lo svolgimento risente dei limiti di budget e da alcune, sia pure comprensibili, titubanze nelle sequenze d’azione. Il ritmo si mantiene piuttosto lento anche perché la materia narrativa si dimostra insufficiente per la durata del film (che arriva a circa un’ora), ma nella fase finale una certa concitazione ravviva gli avvenimenti. La storia non esce comunque mai dai binari della prevedibilità, sottofinale compreso.
Certe ingenuità, inoltre, potevano essere evitate (come le orecchie di Vanessa, che avrebbe funzionato come demone anche senza, con il solo comportamento) e la recitazione degli attori - di cui si può apprezzare la dedizione e anche, talvolta, la resa interpretativa - è piuttosto diseguale, non sempre in linea con le necessità di rendere credibile la storia (Eros Bosi, il protagonista, è in grado di gestire abbastanza adeguatamente le scene “normali”, ma mostra qualche difficoltà nei momenti più “drammatici”: questione di esperienza). Il modello registico sembra essere il Raimi di La casa (con i demoni, il bosco e anche la vegetazione semovente), ma se il modello è quello giusto, ne siamo ancora lontani per efficienza ed economia narrativa.
Restano da apprezzare l’impegno e la passione (realizzare un lungometraggio non è per niente facile): inoltre, il film, pur con i suoi difetti, si fa vedere e qualche discreta scena c’è. Perciò, vale la pena di insistere e di provare a migliorare.
1833: due giovani seppelliscono in un bosco un sacchetto con dentro qualcosa che ancora si muove. Oggi, il giovane Sebastian (Eros Bosi) è stato licenziato e, squattrinato, ha problemi con l’affitto di casa. Pure l’auto gli si ferma mentre sta facendo un giretto nel bosco con il cane Peter: il cane scappa tra gli alberi e Sebastian, cercandolo, si imbatte nel vecchio sacchetto sepolto (un po’ troppo in superficie, per la verità). Dentro c’è una mano, come scopre assieme all’amico Fux (Lorenzo Acquafredda), studente di medicina. Invece di portarla alla polizia, Sebastian si fa convincere dall’amico a tenerla in casa per una settimana, mentre l’altro ne fa esaminare un campione in laboratorio. Questo nonostante la mano si sia mossa da sola mentre la toccavano. Sebastian scoprirà che la mano possiede particolari poteri, ma che ci sono controindicazioni notevoli.
L’idea di riprendere il classico racconto di Jacobs per trarne linfa per un horror moderno non è male, ma lo svolgimento risente dei limiti di budget e da alcune, sia pure comprensibili, titubanze nelle sequenze d’azione. Il ritmo si mantiene piuttosto lento anche perché la materia narrativa si dimostra insufficiente per la durata del film (che arriva a circa un’ora), ma nella fase finale una certa concitazione ravviva gli avvenimenti. La storia non esce comunque mai dai binari della prevedibilità, sottofinale compreso.
Certe ingenuità, inoltre, potevano essere evitate (come le orecchie di Vanessa, che avrebbe funzionato come demone anche senza, con il solo comportamento) e la recitazione degli attori - di cui si può apprezzare la dedizione e anche, talvolta, la resa interpretativa - è piuttosto diseguale, non sempre in linea con le necessità di rendere credibile la storia (Eros Bosi, il protagonista, è in grado di gestire abbastanza adeguatamente le scene “normali”, ma mostra qualche difficoltà nei momenti più “drammatici”: questione di esperienza). Il modello registico sembra essere il Raimi di La casa (con i demoni, il bosco e anche la vegetazione semovente), ma se il modello è quello giusto, ne siamo ancora lontani per efficienza ed economia narrativa.
Restano da apprezzare l’impegno e la passione (realizzare un lungometraggio non è per niente facile): inoltre, il film, pur con i suoi difetti, si fa vedere e qualche discreta scena c’è. Perciò, vale la pena di insistere e di provare a migliorare.
Etichette:
Eros Bosi,
horror,
horror film,
La mano infernale,
Lorenzo Boscaino,
recensione,
recensione film
La notte del giudizio
Domani esce La notte del giudizio, un thriller-horror di James DeMonaco che ha già riscosso un buon successo negli USA. La premessa dovreste ormai conoscerla, ma è comunque interessante: in un'America del prossimo futuro, durante una notte all'anno è lecito insanire come dicevano i latini. Si può rubare, picchiare e financo ammazzare.
Il film regge nel suo sviluppo a una simile premessa? Se volete sapere come la penso, andate a leggere la mia recensione su MyMovies: come sempre, la trovate qui.
Tra gli interpreti il pugnace Ethan Hawke, già visto recentemente in Sinister, e Lena Headey.
Qui sopra un'immagine dal film.
Il film regge nel suo sviluppo a una simile premessa? Se volete sapere come la penso, andate a leggere la mia recensione su MyMovies: come sempre, la trovate qui.
Tra gli interpreti il pugnace Ethan Hawke, già visto recentemente in Sinister, e Lena Headey.
Qui sopra un'immagine dal film.
Etichette:
Ethan Hawke,
horror,
horror film,
James DeMonaco,
La notte del giudizio,
mymovies,
recensione,
recensione film
sabato 27 luglio 2013
Weekend tra amici
Gianni, Marco, Stefano e Fabrizio sono quattro amici di vecchia data con in comune una grande passione calcistica (per squadre diverse, mai nominate esplicitamente). Alcuni di loro hanno difficoltà di vario genere, ma le superano pur di godersi in santa pace in Tv - come fanno ogni anno - un weekend calcistico in una villetta fuori mano affittata appositamente: l’occasione, come sempre, è un torneo quadrangolare con le squadre per cui, rispettivamente, fanno il tifo. Solo che la pace è più presunta che reale: antiche recriminazioni, problemi quotidiani e tifo calcistico creano tensione. Il torneo subisce un imprevisto rinvio e i quattro anticipano la cena in attesa dell’inizio. Ma le cose non vanno come era previsto e la violenza dilaga.
La situazione di partenza è abbastanza tipica: un gruppo di amici cerca la serenità e una pausa dalle angustie quotidiane in un rito calcistico-amichevole che però ormai è corrotto dal passare del tempo e forse non è mai stato così innocente. Il calcio è l’unica cosa che li unisce ancora, ma proprio il calcio più che una vera passione è in fondo un pretesto: ai quattro non interessa più molto, è solo un modo per vivere in forma vicaria lotte e vendette che si vorrebbero tenere lontane dalla realtà. Finché è possibile. Le ripicche, le delusioni, le invidie sono infatti un ostacolo alla riemersione dell’antica familiarità. Il regista Stefano Simone inscena con abilità l’inquietudine crescente, la tensione strisciante, tra tentativi di familiarizzare e battute infelici e cattive che colpiscono duro proprio chi è più in difficoltà. La ferocia esplode improvvisa, però quasi inevitabile. Ma se il primo delitto risulta credibile nella sua dinamica e nella sua esplosiva causalità, diverso è il caso del secondo delitto che, se pur astutamente giocato sull’inversione delle aspettative, risulta piuttosto forzato. è però il segnale della natura di thriller “filosofico” del film. La credibilità della conclusione dipende molto dall’atteggiamento del singolo spettatore verso questa caratteristica. La svolta, comunque, è nel complesso ben gestita, nei limiti del possibile, anche se il finale manca del colpo d’ala e risulta sostanzialmente ineluttabile.
Discreta nel complesso la prova degli attori, con una menzione particolare per Matteo Perillo che affronta con convinzione il personaggio forse più complesso. Valida la sceneggiatura di Francesco Massaccesi, articolata e brillante nei dialoghi. Il soggetto presenta invece delle forzature proprio per la necessità di dare corpo alla “filosofia” del film.
Stefano Simone - del suo precedente film ho scritto qui - realizza sicuramente il suo miglior film sino a oggi e il fatto che la crescita qualitativa delle sue opere sia costante fa ben sperare per il futuro. La sua regia è fluida e sicura, le inquadrature sono sempre ben scelte e rifuggono dalla forzata sperimentalità dell’esordiente.
La situazione di partenza è abbastanza tipica: un gruppo di amici cerca la serenità e una pausa dalle angustie quotidiane in un rito calcistico-amichevole che però ormai è corrotto dal passare del tempo e forse non è mai stato così innocente. Il calcio è l’unica cosa che li unisce ancora, ma proprio il calcio più che una vera passione è in fondo un pretesto: ai quattro non interessa più molto, è solo un modo per vivere in forma vicaria lotte e vendette che si vorrebbero tenere lontane dalla realtà. Finché è possibile. Le ripicche, le delusioni, le invidie sono infatti un ostacolo alla riemersione dell’antica familiarità. Il regista Stefano Simone inscena con abilità l’inquietudine crescente, la tensione strisciante, tra tentativi di familiarizzare e battute infelici e cattive che colpiscono duro proprio chi è più in difficoltà. La ferocia esplode improvvisa, però quasi inevitabile. Ma se il primo delitto risulta credibile nella sua dinamica e nella sua esplosiva causalità, diverso è il caso del secondo delitto che, se pur astutamente giocato sull’inversione delle aspettative, risulta piuttosto forzato. è però il segnale della natura di thriller “filosofico” del film. La credibilità della conclusione dipende molto dall’atteggiamento del singolo spettatore verso questa caratteristica. La svolta, comunque, è nel complesso ben gestita, nei limiti del possibile, anche se il finale manca del colpo d’ala e risulta sostanzialmente ineluttabile.
Discreta nel complesso la prova degli attori, con una menzione particolare per Matteo Perillo che affronta con convinzione il personaggio forse più complesso. Valida la sceneggiatura di Francesco Massaccesi, articolata e brillante nei dialoghi. Il soggetto presenta invece delle forzature proprio per la necessità di dare corpo alla “filosofia” del film.
Stefano Simone - del suo precedente film ho scritto qui - realizza sicuramente il suo miglior film sino a oggi e il fatto che la crescita qualitativa delle sue opere sia costante fa ben sperare per il futuro. La sua regia è fluida e sicura, le inquadrature sono sempre ben scelte e rifuggono dalla forzata sperimentalità dell’esordiente.
mercoledì 24 luglio 2013
Ancora sul mio racconto in e-book Pactum sceleris
Mi sono reso conto con sorpresa (e raccapriccio) che il mio e-book Pactum sceleris (ne ho parlato qui) non è ancora balzato in vetta alle vendite dei download. Data l’indiscutibile qualità (lo dico io, perciò non si discute) del testo e l’assoluta mia rinomanza, il problema deve certamente risiedere nella poca pubblicità. Quindi, per dare a chiunque (e chicchessia) l’opportunità di capire di cosa si tratta, ho pensato di postare qui l’incipit del racconto, così magari chi lo legge è interessato a capire come si sviluppa e soprattutto come finisce. Perché, lo garantisco, finisce.
Lo so, direte voi (e se non lo dite lo dico io giusto per amor di discussione), questa potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio, perché potrebbe esserci anche qualcuno che, tentato di acquistare l’e-book, si renda conto, leggendo l’incipit (che poi, per quelli che non hanno fatto latino a scuola o se lo sono dimenticato, è l’inizio), che non gli piace proprio per niente e soprassieda (come dicevano Ciccio e Franco) all’acquisto. Ma correrò il rischio, per cui quel che segue è l’inizio di Pactum sceleris: tenete conto che il seguito è meglio, soprattutto perché conduce alla fine e poi non se ne parla più.
Chi vuole, può acquistarlo qui o qui o anche altrove.
Questo, dunque, è l'inizio.
Lo so, direte voi (e se non lo dite lo dico io giusto per amor di discussione), questa potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio, perché potrebbe esserci anche qualcuno che, tentato di acquistare l’e-book, si renda conto, leggendo l’incipit (che poi, per quelli che non hanno fatto latino a scuola o se lo sono dimenticato, è l’inizio), che non gli piace proprio per niente e soprassieda (come dicevano Ciccio e Franco) all’acquisto. Ma correrò il rischio, per cui quel che segue è l’inizio di Pactum sceleris: tenete conto che il seguito è meglio, soprattutto perché conduce alla fine e poi non se ne parla più.
Chi vuole, può acquistarlo qui o qui o anche altrove.
Questo, dunque, è l'inizio.
Esistono
al mondo cose peggiori di chiamarsi Arnoldo, ma Arnoldo ancora si
chiedeva come mai i suoi genitori l’avessero chiamato così. Ed
erano passati più di quarant’anni da allora.
Esistono
anche cose peggiori di avere una moglie che si odia profondamente.
Una di queste cose peggiori è avere una moglie che si odia
profondamente, senza avere un’amante. Ma esistono cose ancora
peggiori di questa combinazione sfortunata.
Arnoldo pensava a queste cose,
come gli capitava spesso, mentre faceva le scale per entrare a casa,
dopo una giornata di lavoro che definire dura sarebbe stato un
inutile encomio a un’attività che tutto era fuorché dura. Noiosa,
avvilente, questo sì. Dura, no.
Era quasi stupito di non sentire
il profumo del minestrone. Era martedì. Toccava. E invece, niente.
Non sapeva se essere sollevato o preoccupato. Era vero che era in
leggero anticipo sulla tabella di marcia della sua consuetudine. I
suoi tempi erano abbastanza prevedibili, ma restava sempre
l’incognita del traffico, a volte intenso e a volte molto intenso.
Stavolta, era stato intenso.
Entrò
in casa aspettandosi le consuete frasi di accoglienza tipo “Ah, sei
qui?”, “Ah, già qui?”, “Ah, ma non dovevi fare
straordinari?”. Il contenuto aveva infinite varianti, ma iniziava
sempre con un “Ah” che denotava lo scarso interesse suscitato dal
suo arrivo.
Ma come è possibile chiamare
Arnoldo un bambino? Forse i suoi genitori avevano preso il nome da
quell’editore, pensò. Strano, però, ripensò, perché non
leggevano mai.
I genitori non si rendono conto
del peso che infliggono ai poveri bambini quando scelgono loro il
nome, pensò ancora. Non capiscono che il desiderio dei bambini è
solo quello di perdersi in mezzo agli altri, senza la minima
connotazione speciale. Non si è mai saputo di qualche Mario, Paolo,
Antonio e così via che si siano sentiti oppressi dal loro nome. Gli
Arnoldo, invece… Certo, Asdrubale sarebbe stato peggio, ma chi si
chiama più Asdrubale? Forse quando l’avevano chiamato Arnoldo, i
suoi genitori avevano inteso dargli un segno di distinzione, ma era
appunto quello il problema: i bambini non vogliono distinguersi, non
quando sono piccoli, vogliono essere accettati dagli altri. Arnoldo
sospirò ancora: il trauma non era ancora stato superato. è
vero, anche il cognome aveva il suo peso, perché chiamarsi
Sgrumoletti non era facile, però non poteva fare una colpa ai
genitori per il cognome. Il cognome è qualcosa che viene da molto
lontano, certi si chiamano Spada, Arcieri, Bruma delle Vette o in
altro modo nobile e perfetto, altri si chiamano Chiappa, Scantanburlo
o Lo Mastico. Non c’è niente da fare. Si può chiedere il cambio
di cognome alle autorità, ma giusto se ti chiami Merdaccia o
qualcos’altro del genere. E poi è una trafila burocratica non
indifferente. Arnoldo si teneva il suo Sgrumoletti come una
maledizione venuta da qualche divinità non benevola.
Arnoldo si fermò, interdetto.
Non c’era stata nessuna frase di benvenuto o, piuttosto, di
malvenuto. Invece, c’era Alice, sua moglie, seduta sulla poltrona
del salotto, sul bordo della poltrona. Accanto a lei, due valige. Sul
tavolino del salotto, una busta chiusa.
– Aprila, Arnoldo – disse
Alice, con voce ferma e decisa.
– Che cosa c’è? – chiese
Arnoldo con un risolino. – Il menu di stasera?
Non era il menu. Era un elenco
dettagliato delle sue manchevolezze, che comprendevano egoismo,
indifferenza, pressappochismo e molte altre cose, tra cui il fatto
che voleva sempre tenere lui il telecomando. La lettera finiva
dandogli appuntamento in Tribunale per la separazione e poi il
divorzio, che, c’era poco da dubitarne, sarebbe stato a caro
prezzo.
– Ti ho scritto quella lettera
per spiegarti tutto – disse Alice. – Intendevo andarmene prima
che tu rientrassi.
Arnoldo alzò gli occhi dalla
lettera e li posò, interrogativamente, su Alice.
– Poi ho pensato che fosse più
giusto aspettarti – concluse Alice, alzandosi. – L’ho fatto e
adesso sai tutto ciò che devi sapere. Addio.
Arnoldo vide sua moglie afferrare
i manici delle valige e dirigersi, senza apparente sforzo, verso la
porta. Era evidente, senza ombra di dubbio, che intendeva davvero
andarsene. Per un attimo, Arnoldo pensò che era quello che aveva
sempre sperato, liberarsi di lei. Fu solo un attimo. Si rese subito
conto che non poteva fare a meno dei soldi che lei avrebbe preteso da
lui e avrebbe di certo ottenuto dal giudice.
– Aspetta – disse Arnoldo,
mettendo una mano sulla spalla di Alice. – Dove credi di andare?
– Dove mi pare – rispose
Alice, senza troppa originalità, ma con grande convinzione. – E
togli quella manaccia dalla mia spalla.
Arnoldo tolse la mano, ma con un
breve balzo si frappose tra Alice e la porta.
– Non crederai di potermi
liquidare con una lettera – le disse.
– Arnoldo, piantala. E'
finita, lo vuoi capire?
Etichette:
horror,
Pactum sceleris,
racconto,
Rudy Salvagnini,
thriller
The Lost Dinosaurs
Mancavano i dinosauri nel repertorio dei found footage movies ed eccoli qua: The Lost Dinosaurs ce li presenta in tutto il loro splendore, facendo finta che ciò che vediamo sia successo davvero. Il film tira in ballo anche la criptozoologia per dare al tutto un sottofondo scientifico e la cosa ha il suo valore. Si tratta di una disciplina affascinante proprio perché si occupa sostanzialmente di quello che non si sa se c'è, ma molto probabilmente non c'è. Però ci piacerebbe ci fosse. A suo tempo l'ho usata anch'io, la criptozoologia, a fini narrativi, in una storia di un mio personaggio (Ronnie Camera). La storia si chiamava Sasquatch e la criptozoologia ci cascava a fagiolo.
Comunque, chi è interessato alla mia recensione di The Lost Dinosaurs può andare qui, su MyMovies.
Qui sopra un'immagine dal film.
Comunque, chi è interessato alla mia recensione di The Lost Dinosaurs può andare qui, su MyMovies.
Qui sopra un'immagine dal film.
Etichette:
criptozoologia,
found footage,
mymovies,
recensione film,
Ronnie Camera,
Sasquatch,
The Lost Dinosaurs
The Last Exorcism - Liberaci dal male
C'era da aspettarselo: L'ultimo esorcismo non era veramente l'ultimo. Per cercare di mascherare questo innegabile fatto, la distribuzione italiana ha mantenuto il titolo originale per il secondo capitolo, ma c'è poco da fare: The Last Exorcism - Liberaci dal male è il seguito di L'ultimo esorcismo, che a questo punto dovrebbe vedersi corretto il titolo in Il penultimo esorcismo (e non pensiamo all'ipotesi di un terzo capitolo...).
Comunque, il film abbandona il formato da reality horror, da found footage movie, per approdi più tradizionali. Un male o un bene? Se volete sapere cosa ne penso, andate a leggere la mia recensione su MyMovies: la trovate qui.
Qui sopra invece Ashley Bell in un momento del film.
Comunque, il film abbandona il formato da reality horror, da found footage movie, per approdi più tradizionali. Un male o un bene? Se volete sapere cosa ne penso, andate a leggere la mia recensione su MyMovies: la trovate qui.
Qui sopra invece Ashley Bell in un momento del film.
mercoledì 26 giugno 2013
Richard Matheson (20 febbraio 1926 – 23 giugno 2013)
Assieme a Kurt Vonnegut, ma certamente per altri versi, è stato lo scrittore che più mi ha influenzato. Era confortante sapere che era ancora vivo e attivo. Adesso che è morto resta il conforto di sapere che ha avuto una vita lunga, produttiva e ricca di successi. Maestro della paranoia e degli incubi quotidiani, ha spaziato per i generi e per i mezzi espressivi diventando anche uno dei più grandi sceneggiatori cinematografici (il ciclo da Poe di Corman resta forse il suo esercizio più famoso; il film Night Creatures da Io sono leggenda per la Hammer, non realizzato per il divieto della censura inglese, forse il rimpianto più forte).
La sua influenza ha colpito tutti o quasi quelli che si sono occupati di horror a livello di scrittura o, conseguentemente, di cinema. King lo considerava uno dei suoi maestri. Spielberg, ho letto, ha detto che era un grande, della stessa categoria di Bradbury e Asimov. Capisco il senso della sua dichiarazione, ma disapprovo in parte: Matheson era più grande di entrambi. George A. Romero ha confessato anche a Matheson in persona d'aver preso spunto da Io sono leggenda per La notte dei morti viventi. La cosa divertente è che Matheson gli chiese se ci avesse guadagnato e quando Romero gli rispose che il film non gli aveva reso niente, Matheson gli disse, più o meno, che allora non c'erano problemi.
Qualcuno gli aveva rimproverato certe scivolate mistiche e sentimentali nella sua tarda e semi-tarda produzione, ma chi non diventa più soft con l'andare degli anni? Quello che Matheson ha fatto è così tanto che ogni eventuale piccolo o grande difetto era (ed è) perdonato in automatico e in ogni caso l'aver cercato strade nuove e diverse era la testimonianza di un autore ancora vivo e cangiante.
Teorizzatore - nella pratica, se così si può dire - dell’importanza della storia sui personaggi e sull’ambientazione, rendeva questi e quella solo nella misura in cui erano funzionali alla storia, alla narrazione. I suoi protagonisti erano degli everyman, eravamo noi ed erano lui, immersi nelle profondità oscure e ineluttabili della vita a fronteggiare un imponderabile indissolubilmente radicato nella realtà, una realtà trasfigurata ma non per questo meno reale. Per la sua biografia, andate a leggere i vari necrologi di questi giorni. Ma soprattutto andate a leggere i suoi libri, se non li avete ancora letti, e rileggeteli se l’avete già fatto: grazie a Fanucci molti di loro sono ancora in stampa. Quelli che mancano li potete trovare su qualche bancarella nelle vecchie edizioni o direttamente in inglese (qualcuno non è stato edito, a quanto mi risulta, tipo Now You See It...: non eccezionale, ma interessante). Gli imprescindibili, a mio avviso, sono Io sono leggenda, Tre millimetri al giorno, Io sono Helen Driscoll. E non trascurate i racconti: era un maestro delle short stories (alcune di queste hanno fatto la storia della televisione nella serie Ai confini della realtà).
La sua influenza ha colpito tutti o quasi quelli che si sono occupati di horror a livello di scrittura o, conseguentemente, di cinema. King lo considerava uno dei suoi maestri. Spielberg, ho letto, ha detto che era un grande, della stessa categoria di Bradbury e Asimov. Capisco il senso della sua dichiarazione, ma disapprovo in parte: Matheson era più grande di entrambi. George A. Romero ha confessato anche a Matheson in persona d'aver preso spunto da Io sono leggenda per La notte dei morti viventi. La cosa divertente è che Matheson gli chiese se ci avesse guadagnato e quando Romero gli rispose che il film non gli aveva reso niente, Matheson gli disse, più o meno, che allora non c'erano problemi.
Qualcuno gli aveva rimproverato certe scivolate mistiche e sentimentali nella sua tarda e semi-tarda produzione, ma chi non diventa più soft con l'andare degli anni? Quello che Matheson ha fatto è così tanto che ogni eventuale piccolo o grande difetto era (ed è) perdonato in automatico e in ogni caso l'aver cercato strade nuove e diverse era la testimonianza di un autore ancora vivo e cangiante.
Teorizzatore - nella pratica, se così si può dire - dell’importanza della storia sui personaggi e sull’ambientazione, rendeva questi e quella solo nella misura in cui erano funzionali alla storia, alla narrazione. I suoi protagonisti erano degli everyman, eravamo noi ed erano lui, immersi nelle profondità oscure e ineluttabili della vita a fronteggiare un imponderabile indissolubilmente radicato nella realtà, una realtà trasfigurata ma non per questo meno reale. Per la sua biografia, andate a leggere i vari necrologi di questi giorni. Ma soprattutto andate a leggere i suoi libri, se non li avete ancora letti, e rileggeteli se l’avete già fatto: grazie a Fanucci molti di loro sono ancora in stampa. Quelli che mancano li potete trovare su qualche bancarella nelle vecchie edizioni o direttamente in inglese (qualcuno non è stato edito, a quanto mi risulta, tipo Now You See It...: non eccezionale, ma interessante). Gli imprescindibili, a mio avviso, sono Io sono leggenda, Tre millimetri al giorno, Io sono Helen Driscoll. E non trascurate i racconti: era un maestro delle short stories (alcune di queste hanno fatto la storia della televisione nella serie Ai confini della realtà).
mercoledì 19 giugno 2013
50 anni di Messaggero dei Ragazzi
Presso la Basilica di Sant'Antonio a Padova, in uno dei suoi meravigliosi chiostri (il Chiostro del Generale, per l'esattezza), si è aperta una mostra celebrativa per i 50 anni del Messaggero dei Ragazzi (la cui vita è in realtà molto più lunga e comprende il periodo in cui si chiamava Sant'Antonio e i fanciulli). La mostra si intitola 50 anni Meravigliosi! 1963-2013 e in cinque grandi pannelloni racchiude in una veloce ma interessante sintesi i vari decenni della rivista, ognuno dei quali è caratterizzato dalla presenza di autori (di fumetti) molto validi e famosi nonché di rubriche e articoli sempre legati all'attualità e alla sua interpretazione.
Dei fumetti vengono riprodotte parecchie pagine significative, dalle quali emergono firme di assoluto prestigio come Giorgio Cavazzano, Dino Battaglia, Lino Landolfi, Massimo Mattioli e altri ancora. Tra loro, mi fa piacere ricordare qui la presenza di Pinù Intini, che del Mera è stato a lungo redattore rappresentandone una sorta di continuità e di "anima": di suo viene presentata nella mostra la pagina di apertura del fumetto Quel giorno a Dallas, dedicato a JFK. Mi fa anche piacere ricordare con l'occasione che, proprio per il Mera, io e Pinù abbiamo collaborato per diverse storie, tra cui una piuttosto lunga che prendeva spunto dalla leggenda della fortezza di Sigiriya a Sri Lanka.
Ma dato che ho anche sempre avuto un debole per me stesso, segnalo la mia presenza nel pannellone degli anni '90 (la mia collaborazione è durata dal 1987 al 2003), assieme a mio fratello Gianni (che disegnava le mie storie) con la prima tavola di un'avventura di Ronnie Camera, il documentarista d'assalto (vissuto dal 1993 al 2003 sulle pagine del Mera).
La mostra è a ingresso gratuito e durerà sino a ottobre. Purtroppo non è stato realizzato un catalogo.
Qui sopra una foto con la pagina di Ronnie Camera nel pannellone.
Dei fumetti vengono riprodotte parecchie pagine significative, dalle quali emergono firme di assoluto prestigio come Giorgio Cavazzano, Dino Battaglia, Lino Landolfi, Massimo Mattioli e altri ancora. Tra loro, mi fa piacere ricordare qui la presenza di Pinù Intini, che del Mera è stato a lungo redattore rappresentandone una sorta di continuità e di "anima": di suo viene presentata nella mostra la pagina di apertura del fumetto Quel giorno a Dallas, dedicato a JFK. Mi fa anche piacere ricordare con l'occasione che, proprio per il Mera, io e Pinù abbiamo collaborato per diverse storie, tra cui una piuttosto lunga che prendeva spunto dalla leggenda della fortezza di Sigiriya a Sri Lanka.
Ma dato che ho anche sempre avuto un debole per me stesso, segnalo la mia presenza nel pannellone degli anni '90 (la mia collaborazione è durata dal 1987 al 2003), assieme a mio fratello Gianni (che disegnava le mie storie) con la prima tavola di un'avventura di Ronnie Camera, il documentarista d'assalto (vissuto dal 1993 al 2003 sulle pagine del Mera).
La mostra è a ingresso gratuito e durerà sino a ottobre. Purtroppo non è stato realizzato un catalogo.
Qui sopra una foto con la pagina di Ronnie Camera nel pannellone.
venerdì 7 giugno 2013
Flani (16) - Dopo la vita
Il flano di questa volta si riferisce a un film che, riprendendo il format inaugurato da Gli invasati, metteva a confronto la scienza con il soprannaturale, confinando un gruppo di persone - esperte e non - dentro una casa infestata con lo scopo di dimostrare l'esistenza del soprannaturale e tracciarne i contorni. Essendo la casa, come si è detto, infestata, trovare il soprannaturale non è un problema. Il problema è che il soprannaturale non è per nulla benigno. Come sempre per gli horror, il film ha la sua bella scheda nel mio Dizionario dei film horror.
Dopo la vita è tratto da un romanzo di Richard Matheson, il mio scrittore horror preferito, tra i contemporanei: se vi capita, leggete i suoi libri migliori (Io sono leggenda su tutti, ma anche Tre millimetri al giorno, Io sono Helen Driscoll, per non parlare dei racconti). La casa d'inferno (il romanzo da cui è tratto Dopo la vita) non è tra questi, ma è comunque una lettura piacevole. Il cast è di buon livello e spicca la presenza, con un personaggio torbido il giusto, di Pamela Franklin, cui ho dedicato un post qualche tempo fa.
Quanto al flano, ritenere che sia un tantino enfatico non è sbagliato, ma sapete com'è il commercio: non si esagera mai abbastanza. In ogni caso, vi posso garantire che non è soltanto vedendo questo film che potrete sapere veramente cos'è il terrore: vi sono molti altri modi di saperlo e quasi nessuno ha a che fare con il cinema.
Dopo la vita è tratto da un romanzo di Richard Matheson, il mio scrittore horror preferito, tra i contemporanei: se vi capita, leggete i suoi libri migliori (Io sono leggenda su tutti, ma anche Tre millimetri al giorno, Io sono Helen Driscoll, per non parlare dei racconti). La casa d'inferno (il romanzo da cui è tratto Dopo la vita) non è tra questi, ma è comunque una lettura piacevole. Il cast è di buon livello e spicca la presenza, con un personaggio torbido il giusto, di Pamela Franklin, cui ho dedicato un post qualche tempo fa.
Quanto al flano, ritenere che sia un tantino enfatico non è sbagliato, ma sapete com'è il commercio: non si esagera mai abbastanza. In ogni caso, vi posso garantire che non è soltanto vedendo questo film che potrete sapere veramente cos'è il terrore: vi sono molti altri modi di saperlo e quasi nessuno ha a che fare con il cinema.
Iscriviti a:
Post (Atom)