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martedì 23 luglio 2024

Nero criminale - Intervista su Cinemonitor


Nero Criminale - Il cinema di Pete Walker
(Profondo Rosso) è il libro che ho scritto assieme a Fabio Zanello e che ripercorre l'intera carriera del cineasta britannico.

Segnalo con piacere a chi fosse interessato l'intervista a due voci (quella appunto di Fabio Zanello e la mia) condotta dall'illustre Marco Chiani, che ringrazio molto. L'intervista è pubblicata su Cinemonitor e chi vuole leggerla non ha che da clicccare qui.

venerdì 7 giugno 2024

Nero criminale - Il cinema di Pete Walker


Nel corso degli anni ho scritto molto su Pete Walker, dagli articoli monografici su Aliens (1980) e Segnocinema (2002) al corposo capitolo che gli ho dedicato su Il cinema dell'eccessso volume 1. Ma è un regista così interessante che di cose da scrivere ce ne sono sempre. Ecco quindi questo nuovo libro, Nero criminale - Il cinema di Pete Walker, appena uscito per Profondo rosso. L'ho scritto assieme a Fabio Zanello: ci siamo divisi equamente gli spazi fornendo due sguardi diversi su un autore particolare come Walker. Dopo un capitolo introduttivo che ripercorre tutta la carriera di Walker, c'è la seconda parte che si focalizza sui film più importanti. Penso che possa esssere un utile contributo a chi vuole approfondire il cinema di Pete Walker, ma naturalmente il giudizio finale spetta sempre ai lettori.

mercoledì 18 novembre 2020

Frontiers nella Zona Morta


Di Frontiers - Il cinema horror franco-belga degli anni zero (Shatter Edizioni), libro curato da Fabio Zanello e al quale ho partecipato con un breve saggio su Pascal Laugier, si parla nel sito web La Zona Morta con un'intervista di Davide Longoni al curatore e un paio di domande ad alcuni dei collaboratori, tra i quali io. Chi vuole leggere quanto è stato detto può cliccare qui e andare nella Zona Morta, un sito nel quale troverà molte cose interessanti.

martedì 15 settembre 2020

FRONTIERS - Il cinema horror franco-belga degli anni zero


È da poco uscito un nuovo volume di saggistica cinematografica, FRONTIERS - Il cinema horror franco-belga degli anni zero (Shatter Edizioni, 198 pagine, € 14). Curato da Fabio Zanello, il libro contiene una serie di saggi che copre il variegato panorama dell’horror franco-belga di questi anni.

L’argomento è interessante e stimolante. Ed è anche un po’ misterioso come sia avvenuta l’improvvisa fioritura dell’horror in latitudini che prima l’avevano in sostanza ignorato. Infatti, a ben guardare c’è molto poco horror nel cinema franco-belga prima dell’attuale esplosione. Si possono ricordare pochi nomi e pochi titoli: Jean Rollin, naturalmente e soprattutto, Franju, Lemoine, Mulot, Chevalier e alcuni di questi solo con uno o due titoli a testa. Harry Kümel, se vogliamo. E prima di loro praticamente nulla se non si vuole risalire al Maurice Tourneur de La mano del diavolo. Poi, improvvisamente, il diluvio: i francesi hanno cominciato a fare horror e li hanno fatti e continuano a farli bene, in modo personale e molto interessante. Qualcosa del genere era per la verità successo anche in Italia dove, prima di Freda e Bava, l’horror non esisteva e poi invece si è sviluppato un movimento significativo e per molti versi originale.

Il volume contiene saggi di Fabio Zanello (che è anche il curatore), Aurora Auteri, Danilo Arona, Gian Luca Castoldi, Francesco Saverio Marzaduri, Davide Ottini, Michele Raga ed Elisa Torsiello: tra gli autori trattati, Xavier Gens, Bustillo & Maury, Aja, Du Welz, Cattet e Forzani, Noè e via via tutti gli altri, come diceva Alessandro De Zan. Non manca nulla di quanto è horror franco-belga ed è significativo: i nomi di chi ha scritto i saggi, inoltre, sono una garanzia di autorevolezza critica.

Tra i saggi, ce n’è anche uno scritto da me. Io mi sono occupato di Pascal Laugier e va da sé che ritengo che sia uno degli autori più interessanti del gruppo. Scriverne in modo compiuto e articolato mi è stato utile perché mi ha costretto a rivedere, in sequenza, i suoi film riuscendo a coglierne le continuità stilistiche e le notevoli peculiarità. Non ha fatto molti film, ma, con l’eccezione forse del primo che rivelava qualche incertezza, non ne ha sbagliato nessuno, arrivando anche, in particolare con Martyrs, a vette di originalità notevoli. Vi consiglio quindi di leggere quanto ho scritto su di lui, ma soprattutto di vedere i suoi film. E ancor più soprattutto - se si può dire - vi consiglio di leggere questo libro che analizza uno dei movimenti più significativi nell’ambito dell’horror di questi anni e può essere foriero di visioni indimenticabili.


sabato 17 giugno 2017

Help! Il cinema di Richard Lester

C’è stato un periodo in cui sembrava davvero impossibile che Richard Lester potesse sbagliare un film. È stato un periodo breve, ma intenso, nel pieno di una decade decisamente intensa, gli anni ‘60. Lester non sbagliava un colpo, proponendosi come una figura imprescindibile nel cinema di quegli anni. Il suo sguardo era intelligente, curioso, intellettualmente stimolante. Il suo stile vivace, anticonvenzionale, innovativo, pur se inserito sulla scia di una tradizione (quella della commedia inglese, che lui, americano, aveva assimilato alla perfezione) solida e importante. I film di quegli anni sono tutti brillanti, quasi tutti anche dei successi commerciali. I film dei Beatles, Non tutti ce l’hanno, Come ho vinto la guerra, Dolci vizi al foro, Petulia: tutti film significativi e imperdibili. Per non parlare di Mani sulla luna che rielabora e prosegue l’esilarante situazione iniziata con Il ruggito del topo, diretto da un altro americano in momentaneo esilio (dal suo apese e dai suoi temi preferiti) come Jack Arnold. Lo stile (in)imitabile di Lester ne aveva fatto il divulgatore, per così dire, della nouvelle vague godardiana per il grande pubblico, ma con un’impronta personalissima che lo affrancava da ogni possibile accusa di derivatività.

Poi a un certo punto le cose sono cambiate. Il contatto con il pubblico è andato svanendo e alcune scelte sono risultate poco vincenti sia sotto il profilo del successo commerciale sia sotto quello più propriamente artistico. Ma Lester ha sempre mantenuto la voglia di stupire e di proporre la sua visione, anche quando si è trovato al timone di filmoni supereroistici. La sua parabola mi ha ricordato in parte quella di Hal Ashby, regista dal tocco magico sino a un certo punto e poi reietto in quella Hollywood che l’aveva portato in palmo di mano. La differenza, sostanziale, è che Lester è ancora tra noi, in perfetta forma, e se si è ritirato l’ha fatto volontariamente per motivi che non avevano a che vedere con la mancanza di proposte.

Help! Il cinema di Richard Lester (Edizioni Il Foglio, 162 pagg., € 15) a cura di Roberto Lasagna, Anton Giulio Macino e Fabio Zanello, colma una lacuna editoriale proponendo un esame dettagliato e pressoché esaustivo della carriera cinematografica di Lester. Il volume è articolato in una serie di saggi. Io ne ho scritto uno. Gli altri sono Danilo Arona, Teresa Avolio, Francesca Brignoli, Mario Gerosa, Roberto Lasagna, Alberto Libera, Federico Magni, Anton Giulio Mancino, Giovanni Memola, Michele Raga, Barbara Rossi, Chiara Rioci e Fabio Zanello. La prefazione è di Mario Molinari.

Il mio pezzo riguarda Dolci vizi al foro ed è stato un piacere scriverlo anche perché mi ha “costretto” a rivedere un film che ricordavo solo da una visione avvenuta nella metà degli anni ‘70. Tra gli altri saggi segnalo in particolare quello di Danilo Arona (è stato simpatico dividere di nuovo qualche pagina con lui dopo più di trent’anni - o addirittura quaranta - dai tempi di Aliens e, ancora prima, di Kronos) che si è occupato di Mutazioni, in un modo singolare e stimolante. Ma tutti i saggi sono interessanti e compongono, nell’insieme, un quadro articolato e sfaccettato di un autore ingiustamente dimenticato, dando anche contezza delle traversie produttive che si è trovato ad affrontare soprattutto nell’ultima parte della sua carriera.