martedì 7 gennaio 2025

Al progredire della notte

 


Claudia (Lilly Englert) è una giovane che desidera fare l’attrice, ma convive con problemi caratteriali che vuole superare per riuscire a migliorare e a realizzare i suoi obiettivi. Per questo motivo, su ispirazione del suo mentore e fidanzato Ludovico, ha accettato di partecipare a una sorta di corso di sopravvivenza che dovrebbe fortificarla. Ha affittato perciò un appartamento in una grande casa isolata nei pressi di una cittadina e sulle prime la sua affittuaria, una cordiale donna anziana, Letizia (Lucia Vasini), le ispira simpatia. Claudia perciò si apre con lei e le confida le sue preoccupazioni, ricevendone consigli e suggerimenti. Le cose prendono una piega strana quando Letizia mostra a Claudia un particolare apparecchio radio modificato per amplificare certe frequenze e, in sostanza, parlare con i morti. È la metafonia, le spiega Letizia. Claudia si interessa e prova anche lei a parlare con i defunti ricevendone apparenti risposte. Letizia approfondisce parlandole del geniale professor Servadio, che inventò quella radio, ma le parole di Letizia, che sottolinea come quando le voci ordinano bisogna eseguire, turbano la ragazza, che, stanca, va a dormire. Ma il sonno genera incubi. Incubi di un tipo che non scompare al risveglio.

Davide Montecchi aveva favorevolmente impressionato all’esordio qualche anno fa con In a Lonely Place e impressiona ancor più adesso con questo nuovo film che mantiene il grado di complessità, originalità e fascino visuale del precedente e si presenta più accessibile e avvincente sotto il profilo più strettamente narrativo. Sin dall’inizio, con l’uscita da una stazione che sembra immersa in una tenebra senza tempo e la camminata notturna di Claudia per le vie deserte e ricche di fascino arcano, si capisce che l’atmosfera è quella giusta per assecondare e valorizzare una storia misteriosa e significativa. Il personaggio di Claudia, nella sua innocenza e determinazione, è delineato con precisione e sensibilità, mostrandone le fragilità e il desiderio di trovare autonomamente una propria strada, stretta tra le oppressioni della famiglia e le esigenze di un fidanzato tutore non meno autoritario. L’incontro con Letizia è un momento di grande abilità registico-narrativa, per come i dialoghi apparentemente improntati a una banale cordialità si tramutano via via in qualcosa di bizzarro, dapprima, e larvatamente minaccioso poi, pur restando sempre nell’alveo dell’urbanità e delle buone maniere. L’introduzione dell’enigmatica figura del professor Servadio, che avrà poi un ruolo chiave negli sviluppi del racconto, è un’altra mirabile mossa spiazzante che ricorda, per il suo ruolo di arcano deus ex machina, sfuggente e ambiguo, certi personaggi dell’horror avatiano.

Il clima da misterioso si fa via via più angoscioso con il palpabile senso di minaccia a incombere sulla protagonista che vede le sue insicurezze farsi sempre più palpabili e lotta per una via d’uscita contro qualcosa che le riesce difficile comprendere. Le allucinazioni oniriche occupano sempre più spazio dando respiro figurativo a un film che entra così con ispirata suggestione in un territorio visionario che prelude a un finale di lucido delirio con riflessi anche argentiani - la figura della figlia di Letizia - ma sempre profondamente autonomi e di notevole efficacia non solo per l’impatto drammatico, ma anche per la capacità di condurre il racconto a una compiuta conclusione con il completamento dell’arco psicologico della protagonista. Indubbiamente uno dei migliori horror italiani degli ultimi anni per fascino, suggestione e coerenza narrativa.

Nel segnalare l’ottima fotografia di Fabrizio Pasqualetto e nel sottolineare la sicura regia di Davide Montecchi, da non considerare più una semplice promessa, è anche sicuramente il caso di elogiare l’ottima prova del cast: Lilly Englert è perfetta nel dare credibilità al suo ruolo, Lucia Vasini è ottima nel dare la necessaria e temibile ambiguità a Letizia e Pier Sandro Freglio riesce, in poche sequenze, a dare profondità al suo ineffabile professor Servadio.
 

lunedì 6 gennaio 2025

Cose nere

 


Francesca De Gregorio (Simona Vannelli) è un’insegnante e una studiosa: si è stabilita in una cittadina nelle vicinanze del monte Vello per svolgere delle ricerche sulle antiche fortificazioni militari per una tesi di studio. È molto interessata anche al fatto che, tra gli anni ’60 e gli anni ’80 in quella zona ci sono stati molti avvistamenti ufologici e a questo scopo si mette alla ricerca di Paolo Levelli (Antonio Tentori), un giornalista che all’epoca se n’era occupato. Inoltre, nel 1977, quattro fricchettoni erano scomparsi misteriosamente nella zona senza essere poi più ritrovati. Francesca cerca di andare a fondo nelle sue ricerche, ma la materia è sfuggente e fatti inquietanti e minacciosi cominciano ad accaderle.

Umori fantascientifici declinati in chiave horror caratterizzano Cose nere, lungometraggio di Francesco Tassara che immerge la sua protagonista in un clima cospirazionista dove è difficile fidarsi di qualcuno e dove la verità sembra sempre dietro l’angolo, ma continua a sfuggire. Il film punta molto sulla creazione di un’atmosfera di mistero e sulle suggestive ambientazioni montane e boschive, ma procede con una certa lentezza e tende a dilungarsi forse troppo, pur riuscendo più volte a inserire genuini elementi di inquietudine. C’è però, almeno per come viene articolata, una sostanza narrativa un po' esile che tende a soffrire nella dilatazione dei tempi del racconto, pur mantenendosi nel complesso interessante. Nella parte conclusiva, il film alza il ritmo e riesce a sviluppare una buona tensione anche per un azzeccato utilizzo di flashback e scansioni temporali, arrivando a un finale che si mantiene opportunamente enigmatico ed è in grado di generare un buon impatto drammatico. La protagonista, interpretata dalla sempre affidabile Simona Vannelli, ormai presenza frequente e di qualità nella scena dell’horror indipendente italiano, è sufficientemente approfondita a livello caratteriale, mentre gli altri personaggi rimangono meramente funzionali. Tassara dirige con attenzione e senso del mistero, riuscendo a trasmettere la sinistra aura di una natura che si palesa, nel suo solo apparentemente innocente rigoglio, ostile e aliena (in molti sensi). Nel cast - in cui si possono segnalare le buone prove di Ilaria Monfardini e Gabriel Dorigo Badea -  spiccano nomi di rilievo in ruoli di supporto o cameo, come la gloriosa Erika Blanc, che si ritaglia una partecipazione colorita e vivace, la brava Silvia Collatina, già attrice per Fulci (e non solo), il regista Fulvio Wetzl e lo sceneggiatore Antonio Tentori, nel ruolo del giornalista che la sa lunga, ma preferirebbe probabilmente saperne molto meno.


venerdì 3 gennaio 2025

Atanomia di un massacro

 


Atanomia di un massacro di Michelangelo Bertocchi è un film che presenta diversi motivi di interesse nel suo modo di affrontare una tematica spigolosa come quella della scuola, del suo ruolo, del suo significato, della sua incapacità di intercettare il mondo giovanile, dell’inesorabile e sempre maggiore distacco tra professori perlopiù vecchi e sfiduciati e studenti perlopiù poco interessati a quanto la scuola stessa può offrire. Il tutto poi si concretizza nell’impossibilità/incapacità di prevenire/evitare un massacro che risulta opaco nelle motivazioni - se non per il vuoto nichilista che si è palesato in precedenza - e perciò apparentemente inevitabile. Nella sua contenuta durata da mediometraggio cospicuo o se vogliamo da vecchio B-movie (un’oretta), il film rifugge da una narrazione lineare e preferisce abbozzare quadretti e situazioni che rendono l’idea, grazie anche a una particolare scelta stilistica, quella di raggelare talvolta in fotogrammi fissi l’immagine, che dà un tono originale e inquietante a quanto accade. L’uso quasi esclusivo del bianco e nero aiuta inoltre a dare un approccio quasi documentaristico e crudo a quanto si vede. Ogni tanto il film si apre quasi improvvisamente alla narrazione e abbiamo allora dei siparietti significativi, con lo studente che viene incaricato dal preside di girare un video sulla scuola per un concorso, o con l’altro studente che ha probabilmente una relazione con una insegnante problematica, o ancora con il professore sull’orlo della sospirata pensione che cerca un incontro o meglio uno scontro con uno studente oppositivo, mentre tenta nel contempo di educare gli altri ben conscio dell’inutilità dello sforzo. Alcuni studenti filosofeggiano, altri fanno i bulli, altri ancora entrambe le cose. Certi dialoghi sono forse improbabili in ambito studentesco (“Come stai?” “Come la casa degli Usher di Allan Poe”), ma rendono anch'essi l’idea. L’insieme è un quadro desolante e desolato del degrado dell’istituzione educativa che diventa il brodo di coltura del sopruso e della violenza. Che il massacro, pur evidente, resti in sostanza fuori dal campo visivo è una soluzione interessante che ne sottolinea ancor più la natura sfuggente.
Consistente è l’uso di canzoni più o meno famose nella colonna sonora. Talvolta si ottiene una sorta di effetto juke-box, o se vogliamo da video-clip, con le immagini che si riducono a fare da sfondo alle canzoni più che viceversa. La scelta è però molto varia: si va dai Beatles a Friend of the Devil dei Grateful Dead (canzone ben nota anche nell’intensa versione live di Bob Dylan), passando per il Van Morrison accattivante di Brown-Eyed Girl.
Tra i professori si vede anche, in un simpatico cameo, il regista Antonio Bido (Solamente nero)