Claudia (Lilly Englert) è una giovane che desidera fare l’attrice, ma convive con problemi caratteriali che vuole superare per riuscire a migliorare e a realizzare i suoi obiettivi. Per questo motivo, su ispirazione del suo mentore e fidanzato Ludovico, ha accettato di partecipare a una sorta di corso di sopravvivenza che dovrebbe fortificarla. Ha affittato perciò un appartamento in una grande casa isolata nei pressi di una cittadina e sulle prime la sua affittuaria, una cordiale donna anziana, Letizia (Lucia Vasini), le ispira simpatia. Claudia perciò si apre con lei e le confida le sue preoccupazioni, ricevendone consigli e suggerimenti. Le cose prendono una piega strana quando Letizia mostra a Claudia un particolare apparecchio radio modificato per amplificare certe frequenze e, in sostanza, parlare con i morti. È la metafonia, le spiega Letizia. Claudia si interessa e prova anche lei a parlare con i defunti ricevendone apparenti risposte. Letizia approfondisce parlandole del geniale professor Servadio, che inventò quella radio, ma le parole di Letizia, che sottolinea come quando le voci ordinano bisogna eseguire, turbano la ragazza, che, stanca, va a dormire. Ma il sonno genera incubi. Incubi di un tipo che non scompare al risveglio.
Davide Montecchi aveva favorevolmente impressionato all’esordio qualche anno fa con In a Lonely Place e impressiona ancor più adesso con questo nuovo film che mantiene il grado di complessità, originalità e fascino visuale del precedente e si presenta più accessibile e avvincente sotto il profilo più strettamente narrativo. Sin dall’inizio, con l’uscita da una stazione che sembra immersa in una tenebra senza tempo e la camminata notturna di Claudia per le vie deserte e ricche di fascino arcano, si capisce che l’atmosfera è quella giusta per assecondare e valorizzare una storia misteriosa e significativa. Il personaggio di Claudia, nella sua innocenza e determinazione, è delineato con precisione e sensibilità, mostrandone le fragilità e il desiderio di trovare autonomamente una propria strada, stretta tra le oppressioni della famiglia e le esigenze di un fidanzato tutore non meno autoritario. L’incontro con Letizia è un momento di grande abilità registico-narrativa, per come i dialoghi apparentemente improntati a una banale cordialità si tramutano via via in qualcosa di bizzarro, dapprima, e larvatamente minaccioso poi, pur restando sempre nell’alveo dell’urbanità e delle buone maniere. L’introduzione dell’enigmatica figura del professor Servadio, che avrà poi un ruolo chiave negli sviluppi del racconto, è un’altra mirabile mossa spiazzante che ricorda, per il suo ruolo di arcano deus ex machina, sfuggente e ambiguo, certi personaggi dell’horror avatiano.
Il clima da misterioso si fa via via più angoscioso con il palpabile senso di minaccia a incombere sulla protagonista che vede le sue insicurezze farsi sempre più palpabili e lotta per una via d’uscita contro qualcosa che le riesce difficile comprendere. Le allucinazioni oniriche occupano sempre più spazio dando respiro figurativo a un film che entra così con ispirata suggestione in un territorio visionario che prelude a un finale di lucido delirio con riflessi anche argentiani - la figura della figlia di Letizia - ma sempre profondamente autonomi e di notevole efficacia non solo per l’impatto drammatico, ma anche per la capacità di condurre il racconto a una compiuta conclusione con il completamento dell’arco psicologico della protagonista. Indubbiamente uno dei migliori horror italiani degli ultimi anni per fascino, suggestione e coerenza narrativa.
Nel segnalare l’ottima fotografia di Fabrizio Pasqualetto e nel sottolineare la sicura regia di Davide Montecchi, da non considerare più una semplice promessa, è anche sicuramente il caso di elogiare l’ottima prova del cast: Lilly Englert è perfetta nel dare credibilità al suo ruolo, Lucia Vasini è ottima nel dare la necessaria e temibile ambiguità a Letizia e Pier Sandro Freglio riesce, in poche sequenze, a dare profondità al suo ineffabile professor Servadio.
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