Michele Pastrello è un giovane filmmaker indipendente autore di diversi cortometraggi molto interessanti. Di alcuni di questi (Inhuman Resources e Ultracorpo) ho già parlato in questo blog. Ora ne è in uscita un altro, Desktop, breve - quattro minuti scarsi che riescono a racchiudere molto - e fulminante.
Il film comincia con una citazione da Paulo Coelho che detta le coordinate emotive della vicenda. Le immagini livide di solitudini contrapposte in ambienti antitetici si susseguono a segnalare una ideale separazione. Il parallelo delle vestizioni per obiettivi diversi scandisce il ritmo della giornata. Il parallelo tra il caminetto virtuale e la molto concreta stufa a legna descrive invece in un istante la distanza tra l’apparenza e la realtà, tra il benessere asettico e la concreta durezza della vita vera. Anche se poi ciò che è davvero concreto e ciò che è invece virtuale si confonde con enigmatica ironia.
La sensazione che il corto trasmette è particolare, come particolare è il punto di contatto tra i due protagonisti. Un punto di contatto che rappresenta anche la sorpresa finale del racconto e ne chiude in modo esemplare e immaginifico la parabola emozionale.
Pastrello mostra una notevole capacità di focalizzarsi sui dettagli per raccontare l’insieme. Dettagli che raccontano cose che restano implicite: una foto su un comodino, la scritta “Still alive” su ogni giorno conquistato nel calendario. Riesce anche a realizzare una perfetta ed efficace fusione tra immagine e suono, grazie a una colonna sonora suggestiva.
Si nota una grande e matura padronanza del mezzo espressivo, con inquadrature sempre azzeccate, montaggio fluido e preciso, composizione ispirata, ottimo controllo degli attori - Viviana Leoni e Stefano Negrelli - che forniscono una bella prova aiutati ovviamente dall’assenza di dialoghi, ma capaci di fornire la fisicità e l’espressività giuste per i ruoli.
A volte criptico, con la giusta ambiguità dell’opera complessa (pur nella sua brevità), ma sinceramente emozionale.
Qui sopra un frame dal film.
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mercoledì 2 luglio 2014
sabato 30 luglio 2011
Ultracorpo di Michele Pastrello visibile sul sito dell’autore

Michele Pastrello è uno dei più interessanti autori emersi dal mondo dei cortometraggi indipendenti negli ultimi tempi. Ultracorpo è il suo ultimo lavoro e ne ho già parlato qui: vale la pena di ripetere che è un film che affronta in modo non banale una materia controversa e che, soprattutto, è un bel film.
Adesso, Michele Pastrello lo ha reso disponibile in streaming sul suo sito e vi consiglio di andarlo a vedere perché ne vale la pena (pena per modo di dire, ovviamente). In questo link a Horrormovie, troverete maggiori dettagli, a firma di Roberto Giacomelli, anche sulle motivazioni della messa a disposizione del film: leggete quello che è scritto, guardate il film e formatevi una vostra idea. Io la mia me la sono già formata, quella espressa nella mia recensione.
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giovedì 16 dicembre 2010
Ultracorpo di Michele Pastrello

Il giovane regista Michele Pastrello si è fatto notare con un pugno di cortometraggi apertamente o perifericamente horror attirando l’attenzione di diversi critici e ottenendo importanti riconoscimenti in vari festival. Da ricordare almeno lo psycho-horror Nella mia mente e 32, in cui la tematica ecologica è sviluppata in modo assolutamente originale.
L’originalità dell’approccio caratterizza anche il suo nuovo lavoro, Ultracorpo, che sin dal titolo richiama uno dei film più famosi del fantahorror (L’invasione degli ultracorpi di Don Siegel), del quale viene mostrato un frammento in Tv, mentre il protagonista interpretato dal bravo Diego Pagotto lo guarda. Qui non c’è però una minaccia aliena venuta a spersonalizzare l’umanità: l’umanità ci pensa da sola a farlo.
Umberto è un perdente, rassegnato a una vita ai margini. Vive di lavoretti, ha una cura del corpo che sembra quasi futile vista la situazione, guarda al passato - la foto dei familiari - anche se è ancora giovane e, infine, si accontenta di freddi rapporti con una prostituta per “adempiere” alle sue funzioni sessuali. Poi, un giorno, un amico gli offre un lavoretto in nero: sistemare lo scarico del lavandino di un tizio, un “frocio”, gli spiega l’amico come se quel termine fosse di per sé sufficiente a classificare l’individuo. Umberto ne prova un’istintiva repulsione e rifiuta l’offerta. Ma in realtà non può rifiutarla: ha bisogno di soldi. Perciò alla fine ci va e l’incontro produce conseguenze inaspettate per entrambi i protagonisti.
Pur agendo in un contesto che sembra quello di un horror thriller convenzionale - per suggestioni e atmosfere - Pastrello si avvicina alla tematica in modo del tutto anticonvenzionale. Dipinge con tocchi asciutti ed efficaci le ragioni della violenza. Mostra senza enfasi come la solitudine e lo squallore dei rapporti umani generi l’incapacità di relazionarsi con gli altri, come se fosse parte di un processo di desensibilizzazione, di baccellizzazione, per restare nel tema de L’invasione degli ultracorpi. E qui, in un radicale rovesciamento del film di Siegel, l’ultracorpo è quello dell’uomo “normale” e non c’è nessuna invasione: gli uomini - in buona parte - sono già così, lo sonbo diventati. Molto efficace è anche la percezione del diverso - in questo caso l’omosessuale, ma la cosa potrebbe applicarsi ad altre categorie - come un mostro: la sequenza dell’incubo, condotta magistralmente e unico momento classicamente horror del film, è esemplare in questo senso.
Positivo è anche il fatto che le cose non siano schematiche: c’è un buon approfondimento delle motivazioni psicologiche dei protagonisti, ciascuno dei quali ha un margine di ambiguità che gli evita di essere uno stereotipo. Forse manca il guizzo finale che, narrativamente, possa sorprendere senza percorrere un sentiero inesorabile ma in parte prevedibile. Però l’insieme rappresenta un nuovo e notevole passo avanti per Pastrello, ormai più che maturo per un lungometraggio.
Ottima la fotografia di Mirco Sgarzi, adeguata ai vari stati d’animo della storia. E notevole anche l’interpretazione degli attori, circostanza che nel cinema indipendente non è proprio usuale. In particolare Felice C. Ferrara riesce a tratteggiare con grande efficacia un ritratto sinuoso e sfuggente di un personaggio visto come “alieno” dalla controparte.
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