sabato 14 novembre 2009

Bob Dylan, Forever Young e Hanging in the Balance


Se qualcuno mi chiedesse di isolare un singolo momento dell’attività live di Bob Dylan come quintessenziale e rappresentativo, non avrei dubbi nell’indicare una delle versioni di Forever Young eseguita nel 1981. C’è una certa dose di provocazione in questa scelta, ma non troppa.

Quello era un periodo particolare per Bob Dylan, in uscita dalla fase “religiosa” e un po’ risentito per l’accoglimento controverso dei suoi concerti del biennio 79/80, nei quali aveva cantato esclusivamente i pezzi provenienti dai cosiddetti album della conversione, causando il risentimento da parte degli spettatori che speravano nell’esecuzione di almeno alcuni dei classici degli anni precedenti. Già nell’ultima parte del 1980 il format dei concerti era cambiato con l’introduzione di canzoni non “religiose”, ma è nel 1981 che questa struttura si perfeziona dando più spazio alle canzoni “secolari”. Il clima però è quasi rabbioso, con un Dylan che dà l’impressione - chissà poi se vera - di essere quasi risentito per la concessione che si è sentito di dover fare. Oppure comunque carico di una energia quasi antimaterica che dilania e reinventa le sue vecchie canzoni, annientandole per rinvigorirle. Shot of Love, l’album in studio del 1981, è quasi del tutto scevro da questa carica, ma rappresenta un punto di passaggio importante tra l’abbandono delle tematiche religiose “evidenti” e il ritorno a un laicismo dubbioso, ma certamente spirituale, evidenziato in Infidels di due anni dopo.

Proprio per questo i concerti del 1981 sono del tutto particolari e unici anche all’interno del variegatissimo canone dylaniano. E Forever Young ne è il momento più alto e significativo. Scritta - pare - per il figlio Jakob (più tardi leader dei Wallflowers), Forever Young è una di quelle canzoni di Dylan che acquistano rilievo soprattutto per l’interpretazione. Il testo infatti è suggestivo, ma semplice, a tratti anche banali nel suo dispensare i consigli che un padre avveduto potrebbe dare al suo figlioletto. E che sia una canzone che dipende dall’interpretazione per la sua ottimizzazione dev’essere stato sin da subito chiaro anche a Dylan perché bell’album Planet Waves (1974) che per primo la contiene ne ha inserito, cosa più unica che rara, addirittura due versioni del tutto diverse tra loro. In una, giocosa e veloce, l’ottimismo sprigiona da ogni nota. Nell’altra, lenta e struggente, si intuisce perfettamente il tono di un augurio da parte di chi sa che ci sarà più di qualche possibilità che l’esortazione a essere per sempre giovane (non fisicamente, ovviamente) avrà bisogno di molta fortuna e buona volontà per realizzarsi.

La versione live del 1981 è straziata, dilaniata, pessimistica, guidata da due assoli di armonica lancinanti che possono essere (al pari di quelli di Mama You Been On My Mind cantata al Phoenix Festival nel 1995) un valido banco di prova per testare il grado di sopportazione di chiunque alla musica di Bob Dylan: se riuscite a coglierne la grandezza e non siete allontanati dal loro suono volutamente stridente, ci siete. Si capisce che stavolta è la disperazione a dettare le parole e che chi le canta sa che non c’è alcuna possibilità che l’augurio si concretizzi: è quasi un grido nel deserto. Da ottimistica, la canzone diventa pessimistica, disillusa. Acquista uno spessore insolito e musicalmente è assai diversa da qualsiasi versione precedente e successiva. Forever Young è una canzone molto eseguita nei concerti di Dylan degli ultimi decenni, ma, pur risultando sempre più che gradevole, non ha mai avuto né avrà mai più (sino ad ora almeno) le caratteristiche salienti e toccanti che ha avuto nel 1981.

Tutte le Forever Young del 1981 sono memorabili, ma se dovessi sceglierne una, suggerirei quella contenuta nel bootleg in vinile Hanging in the Balance (dal concerto di Bad Segeberg del 14 luglio 1981), la prima che ho sentito, ai tempi in cui i bootleg erano in libera vendita nei negozi di dischi. L’unico rammarico è che purtroppo mancano registrazioni di quel periodo - stranamente uno dei meno considerati anche dagli appassionati di Dylan - di alta qualità sonora, per cui l’augurio che mi faccio è che prima o poi la Columbia decida di far uscire un volume delle Bootleg Series dedicato proprio a quei concerti.

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